La seriola Fusia, che prende il nome dalla località di Paratico dove pesca l’acqua dal lago e dove esistevano delle fucine, è uno dei più antichi canali scavati nella pianura bresciana.
La sua realizzazione nel basso medioevo ha avuto un impatto sulla società di quel tempo, paragonabile a quello di grandi infrastrutture, come per noi il TAV o un’autostrada. Se poi si pensa che il cantiere della Fusia, iniziato nel 1347, è proseguito nel bel mezzo di una pandemia ben più grave del coronavirus (la morte nera, arrivata nel 1348), è stupefacente sapere che è stata terminata nell’arco di così pochi anni.
Le azioni condotte dai comuni in difesa dei propri interessi contro l’ingerenza dei nobili, si conclusero nel garantirci la proprietà pubblica di questa importante seriola che il Racheli definì: “benefattrice del paese”. In particolare nei primi anni del ‘400, quando avvenne il passaggio dal dominio visconteo a quello della Serenissima, Rovato, Chiari e Palazzolo riuscirono a diventarne gli unici proprietari dopo l’esclusione della famiglia Oldofredi che era rimasta federe ai Visconti.
La portata massima della Fusia è di 10 metri cubi al secondo e permette di irrigare oltre 4.200 ettari di campagna, ma la seriola non era usata solo come vaso irriguo. Le rogge, fino ad epoche tutto sommato recenti, sono servite come vere e proprie autostrade da navigare. Difficile, ci verrebbe da pensare, eppure le chiatte attraversavano questi canali cariche di merci. Lo sappiamo perché nel 1460 il podestà di Brescia emanò il divieto di navigare la Fusia senza il consenso dei 3 comuni compartecipi delle quote di proprietà.
Al “porto” di Rovato, che se non erro si trovava nella zona dell’ospedale, giungevano sale, ferrarezze dalla Valcamonica, pietra arenaria da Sarnico e molto altro.
Se fate caso, ogni seriola è costeggiata da una stradina (o comunque lo era). Sulla sponda lato strada non esistevano piante perché le chiatte che discendevano la roggia seguendo la corrente, dovevano poi risalirla al traino dei buoi.
Per tutto il periodo tardo-medievale e veneto le seriole furono importanti assi di comunicazione commerciale. Con l’avvento di Napoleone la Fusia fu al centro di un ambizioso progetto.
Redatto dalla commissione di Domenico Coccoli, il piano ebbe l’approvazione del primo ingegnere dell’Impero, Gaspard Riche de Prony, e dello stesso Napoleone il 18 giugno 1805, ma per ostruzione delle autorità bresciane che lo ritenevano troppo dispendioso non fu mai eseguito. Lo scopo dell’opera era quello di collegare il lago d’Iseo con la città, fino a congiungersi con il Naviglio Grande, dove il governo napoleonico stava installando una poderosa fabbrica di cannoni (a Caionvico, 1807).
Qui sarebbero state imbarcate le artiglierie che, scendendo verso Ghedi fino a Canneto, avrebbero raggiunto l’Oglio, quindi il Po fino al mare per raggiungere l’arsenale di Venezia.
Per far ciò si prevedeva il prolungamento della Fusia, passando poco più a sud di Gussago e Cellatica, per raggiungere Brescia con un monumentale ponte-canale, che avrebbe consentito alle acque della roggia di scavalcare il Mella e fare porto nei pressi di porta S. Giovanni (dove oggi sorge la statua di Garibaldi).
Negli anni ’20 e ’60 del novecento si rispolverò il progetto, con idee ancora più grandiose: si pensò ad un canale che collegasse Torino, Novara, Milano, Brescia e attraverso il Mincio anche Mantova, ma alla fine i governi del XX secolo optarono per il trasporto su gomma perché meno costosa la realizzazione, anche se sul lungo periodo i costi di manutenzione della rete autostradale sono superiori, come dimostrerebbe la scelta della Germania (dove il 15% delle merci vanno su fiume, contro il nostro 0,1%) che ha investito molto sulla costruzione di canali navigabili, nonostante a differenza nostra godevano già di numerosi fiumi di grande portata.
Alberto Fossadri
Nell’immagine il progetto di Domenico Coccoli