Nella Rovato della prima metà del ‘900 (ma direi in tutta la nazione) numerosissime sono le storie incredibili di cittadini che dovettero affrontare ogni sorta di difficoltà per poter sopravvivere a guerre, povertà, fame ed altre avversità; tantissimi furono gli emigranti in altri paesi come Stati Uniti, Sud America, Australia, Olanda, Francia, Germania, ecc.
Fenomeno, quella della migrazione che, ancor oggi, ha molte sfaccettature ma è attualissimo.
Moltissimi padri e mariti dovettero lasciare le loro famiglie per lavorare altrove e mandare quanto serviva per sfamarsi dai posti in cui si trovavano.
Quella che vogliamo raccontare oggi è la storia di Pietro Meisso, padre di Silvio nostro concittadino e noto restauratore, di cui abbiamo parlato in alcuni articoli nei mesi precedenti.
Nacque il 20 aprile del 1906 a Castel d’Ario (Mn), insieme al fratello Aristide, nato qualche anno dopo (1908), si ritrovarono ben presto orfani. I loro genitori morirono giovani: della nonna non c’è ricordo; per il papà la morte fu causata dall’alcolismo (cirrosi); svolgeva infatti un lavoro particolare per un’azienda subappaltatrice delle Ferrovie di Stato.
La sua mansione consisteva nel posizionare sui binari del treno dei petardi in vicinanza delle stazioni in modo che i macchinisti, con nebbia forte, potessero capire a quale distanza predefinita fossero le stazioni.
Per il freddo ed il gelo, lui e gli altri operai si portavano dietro delle fiasche di roba forte.
Pietro e Aristide erano orfani e gli enti preposti, dopo lunga ricerca, trovarono dei parenti di nome Meisso in quel di Verona, tuttavia essi, avendo già numerosi figli, non li accettarono perché, dato il periodo di grande fame e miseria, non sarebbero stati in grado di mantenerli.
Ecco allora che, a Rovato, si trovò una lontana zia, chiamata “mamma Rosa”, coniugata Panzacchi (di professione calzolaio), con a carico quattro figlie e un figlio. La zia, visti i nipoti, decise di allevarli (che grazia!).
Siamo negli anni ’30; erano tempi duri e mamma Rosa ed il compagno non riuscivano a sfamarli tutti pertanto, con grandi sacrifici, ci si doveva adattare a qualsiasi lavoro per mettere sotto i denti qualche cosa!
Fu così che Pietro ed Aristide si adattarono a tutti i lavori possibili: l’ombrellaio, il porta-legna, il garzone del fornaio, qualche manovalanza qua e là.
Un giorno, venuto a sapere che in Francia una grossa fabbrica di locomotive e materiale ferroviario (la SACM di Belfort) cercava manovalanza, Pietro decise di espatriare. L’azienda aveva circa 2-3 mila operai, dava una buona paga ed aveva anche una squadra di pugilato.
Fu così che, insieme ad un suo amico (un certo Marassi) e ad altri due, partirono con mezzi di fortuna, con delle guide pagate in anticipo, e si avvicinarono alla frontiera.
Pronti a valicare il confine, trovato un rifugio per la notte in montagna, tuttavia in quel posto avvenne un grave infortunio: l’amico rovatese scivolò in un burrone morendo sul colpo. Il corpo venne lasciato là mentre le guide scomparvero rubando tutti i viveri e i soldi. Dopo tre giorni di girovagare, riuscirono finalmente ad arrivare sul posto.
Iniziò il lavoro presso la grande azienda e, poiché Pietro era “un pezzo duomo” e siccome all’interno vi era una palestra di pugilato, essendo lui appassionato di boxe, indossò i guantoni e si prestò per l’allenamento dei loro campioni.
Coloro che frequentavano la palestra inoltre avevano diritto ad un vitto molto più abbondante.
In Francia si svolsero in quel periodo i campionati regionali di boxe, e poiché il loro peso massimo subì una lussazione alla mano destra non potendo così combattere, decisero di sostituirlo con Pietro che scese sul ring con il nome d’arte di “Meìsson”.
Per dirla in breve, nella notte di Natale (1948), divenne campione regionale di Francia dei pesi massimi con una vittoria per ko al secondo round. Silvio ricorda bene quel periodo: «Ero nella chiesa parrocchiale ad ammirare il presepio quando improvvisamente irruppe mia mamma piangendo dicendomi “Sil-vietto è arrivato papà!”. Inutile dire che, oltre ai soldini dello stipendio, avrà portato pure il premio della federazione di pugilato francese».
Dopo quel bellissimo Natale, saputo che a Ghedi la famosa ditta di imbianchini e decoratori Marpicati cercava personale, ditta con oltre 500 operai, con il fratello Aristide furono assunti e, poiché mio padre era appassionato di pittura e decorazione, venne aggiunto alla categoria decoratori. «Mi ricordo che con lo zio andarono ad aggiustare subito una bici (Girardengo) – dice Silvio – e tutte le mattine alle 5 partivano per il lavoro per fare ritorno tutte le sere, estate e inverno, perché mancavano i mezzi di trasporto sia su strada che per ferrovia. Era così iniziato un periodo felice!
Aveva un buon stipendio». Messosi in proprio con il fratello Aristide ed avendo una più che buona clientela, iniziarono così a lavorare per clienti in tutta la Franciacorta.
L’altra anima di Pietro, oltre al pugilato, era la pittura, di cui era molto appassionato. Nei giorni invernali, quando il lavoro era ridotto e si passava tanto tempo in casa, disegnava i tableau ossia i pannelli per le insegne dei negozi del paese. Inoltre, poiché a Rovato partirono molti cittadini con le famiglie per l’Australia, dipingeva quadretti ricordo con piccoli scorci, la chiesa di Santo Stefano ecc. e li vendeva agli emigranti che si portavano via un ricordo del loro paese. Il suo stile era naif, amava dipingere gli scorci di Rovato (il castello, la piazza, il castello Quistini, la via Larga, ecc.) ed i paesaggi. Spesso rappresentava persone e personaggi tipici della vita di paese, con un tratto semplice e con una visione “dolce”, che gli ricordavano quella vita dura della gente povera di quell’epoca.
Dal suo rientro in Italia non aveva in ogni caso abbandonato lo sport di cui era appassionato, in special modo il pugilato (aprì pure una palestra a Rovato), raggiungendo anche posti di consulente per tale disciplina; ad esempio spesso era convocato dalla Federazione Pugilistica Italiana per il controllo del peso dei pugili e dei cartellini medici. Venne pure insignito del “Guantone d’oro” dall’allora presidente della Federazione onorevole Franco Evangelisti durante una riunione pugilistica a Milano (1969), dove spesso si recava. Solitamente dopo il lavoro, quando c’erano importanti cerimonie e riunioni, partiva in bici da Rovato per arrivare fino a Milano e, poi a tarda notte, vi faceva ritorno.
Nella sua casa rovatese, venivano spesso a trovarlo importanti pugili: Rocky Marciano, Tiberio Mitri, Duilio Loi, Mario d’Agata e tanti altri…
Era inoltre un appassionato fumatore di pipa, di cui ne collezionava un discreto numero, ed aveva contatti con personaggi illustri come lo scrittore di gialli francese George Simenon (inventore del personaggio Jules Maigret, commissario di polizia francese, ndr) anche lui amante della pipa e della boxe!
Conclude il suo ricordo Silvio: «Purtroppo ci ha lasciato per sempre all’età di 83 anni il 24 aprile 1989; ancor oggi viene ricordato come una persona onesta, lavoratrice e caritatevole, in modo particolare verso gli orfanotrofi. Ricordo che tutti gli anni, alla festa di Natale, avevamo come ospite qualche bambino orfano di guerra di cui gli orfanotrofi erano purtroppo pieni.
Loro erano i nostri veri ospiti ed ancora qualcuno ci ricorda con gratitudine; per noi era una grande gioia! Grazie papà, rimarrai sempre nei nostri cuori!»
Emanuele Lopez