Continua il ciclo di serate ed appuntamenti del Rotary Club Cortefranca Rovato che quest’anno sta affrontando, su piani diversi, il tema della “Violenza nel mondo” (The world of violence); come spiegato dal presidente Paolo Curti «Questo progetto vuole esaminare la violenza sotto tutti i suoi profili; eliminarla è impossibile, ma il nostro intento è quello di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica al fine di sensibilizzarla perché ognuno possa, nel proprio ambito, contribuire a migliorare le cose. Sono stati avviatidei gruppi di studio al fine di elaborare soluzioni articolate nei diversi settori: legislativo, culturale tecnico e pratico».

Due gli aspetti della violenza approfonditi nel corso delle mini conferenze del 13 gennaio e del 7 febbraioscorsi: la violenza nelle carceri e la “giustizia riparativa”.

Nel primo evento sono interventi la presidente della “Compagnia Lyria” Monica Cinini, la direttrice degli “Istituti Penitenziari Bresciani” Francesca Paola Lucrezi, la direttrice artistica di “Compagnia Lyria” Giulia Gussago, il responsabile del “Progetto Verziano” Angelo Piovanelli; presente anche la presidente del Tribunale di Sorveglianza di Brescia, dott.ssa Monica Cali.

La riflessione parte da un dato: il 95% delle persone che finiscono in carcere con condanne più o meno lunghe, ritorna nella vita sociale; ecco allora che il percorso del carcere dovrebbe essere fondamentale per far cambiare l’individuo, restituendolo alla società come persona migliore perché altrimenti si avrà una riproposizione dei reati commessi e del problema.

Francesca Paola Lucrezi, direttrice delle carceri bresciane, spiega che cosa significhi la violenza nelle carceri: vi è una prima violenza rappresentata dalla pena ossia dalla privazione della libertà, delle relazioni e degli affetti. Vi è poi il problema del sovraffollamento che genera una violenza interna al luogo di detenzione. È fondamentale quindi affrontare il tema della carcerazione da un punto di vista culturale, partendo dal basso, ossia dalle giovani generazioni. Qualsiasi discorso sulla violenza può essere valido se si inizia a cambiare la mentalità; è necessario passare dal discorso della sicurezza tout-court al discorso dell’investimento nel sociale. Possiamo avere una società meno violenta e criminale se si aiutiamo le persone ad affrontare i loro problemi famigliari, sociali, di lavoro, ecc..

Dodici anni fa Giulia Gussago, la direttrice artistica di “Compagnia Lyria”, e Monica Cinini hanno iniziato nel carcere di Verziano un progetto innovativo (Progetto Verziano) di attività di danza e scrittura creativa,che si sono dimostrati essere strumenti importanti per il cambiamento dei condannati. Il progetto propone un tipo di percorso per far sì che le persone si incontrino e si conoscano e, attraverso questa conoscenza,possano arrivare a cambiare il loro modo di pensare e di agire. Lo strumento della danza non è un momento di divertimento, ma un’occasione di trasformazione della coscienza delle persone che posso rivedere sestesse ed il proprio rapporto col mondo e con gli altri. L’obiettivo è dare loro una visione alternativa della vita rispetto a quella che hanno sempre vissuto fino a quel momento. Già solo far immaginare che possano vedersi in un’altra modalità, è una cosa importante che trova la realizzazione quando qualcuno di essi riesce poi a costruire questa realtà una volta esaurita la pena. I detenuti vogliono essere riconosciuti come persone e non solo per il reato commesso. 

POTENZIALITÀ TRASFORMATIVE DELLA GIUSTIZIA RIPARATIVA

In questo secondo incontro il tema affrontato è stato quello della “Giustizia riparativa”, un argomento di grande attualità che parte dal voler riconsiderare il discorso della pena, non eliminandola, ma affiancandola con un tipo di approccio diverso. La dott.ssa Francesca Bertelli, ricercatrice in Business e Law e avvocato, attualmente ricercatrice e docente di diritto privato presso Unitelma Sapienza, ha spiegato bene ai presenti questa nuova modalità.

Il nostro paradigma di giustizia è ispirato a preconcetti culturali di antica origine: chi sbaglia merita di pagare ed essere punito, il sistema attuale risponde al male provocato mettendo in circolo altro male. Una pena che ha una finalità ritorsiva, quasi vendicativa. Anche se sappiamo che essa dovrebbe rieducare l’autore del reato per facilitarne il ritorno alla società civile in realtà, anche a livello mediatico, viene riproposto sempre un modello basato sulla punizione adeguata al reato che si è commesso. 

Il problema è che questo impianto non appaga la vittima e non si ha un senso di giustizia effettivo. Da qui parte il cambio di modello proposto dalla giustizia riparativa: al centro del processo riparativo non c’è la necessità di punire, ma la necessità di responsabilizzare il reo del danno che ha provocato alla vittima e rivolgersi al danno per trovare una modalità di ripararlo. La necessità che si pone è quella di trovare una soluzione condivisa dalla vittima e dal soggetto offeso, che permetta di ristabilire un senso di giustizia.

La giustizia riparativa propone l’uso del dialogo, del confronto e dell’ascolto con una funzione di creare un ponte tra vittima e colpevole. L’autore dell’illecito e la vittima possono incontrarsi e partecipare insieme a questi incontri dove possono essere presenti anche altre persone indirettamente coinvolte (la comunità) dagli eventi. 

Uno degli ambiti più diffusi dove poter applicare percorsi di giustizia riparativa sono le scuole. È sufficiente formare gli insegnanti che assumerebbero la veste di pacificatori e promotori di dialogo in caso di conflitto; avrebbero anche una veste preventiva rappresentando figure garanti dei diritti delle persone. La giustizia riparativa in fondo è riconoscere sé stessi nell’altro come persona e riconoscere i diritti fondamentali in lui inviolabili in tutti.  Quando si riconoscono nella persona i diritti fondamentali, lo sguardo cambia, e quindi questo è un vero processo di responsabilizzazione. 

Presenta all’incontro anche la dott.ssa Monica Cali Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Brescia che ha spiegato come la riforma Cartabia consenta di introdurre la giustizia riparativa in ogni stato e grado del processo penale. È la prima volta che il giudice può interrompere l’azione giudicatrice in attesa che il percorso di giustizia riparativa sia terminato. 

Emanuele Lopez