È tornato alla politica attiva a 78 anni come fondatore e segretario federale del Partito Polare del Nord – Autonomia e Libertà, con una gran voglia di lottare per i principi e gli ideali che gli sono sempre appartenuti.

L’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli è stato ospite a Rovato, lo scorso 23 gennaio, presso la storica trattoria “El Butighet” durante una serata a cui hanno partecipato imprenditori e simpatizzanti. Presente al suo fianco anche il responsabile regionale ed ex deputato Giulio Arrighini.

Una carriera politica di tutto rispetto che vale la pena ripercorrere brevemente: Roberto Castelli, ingegnere meccanico laureato al Politecnico di Milano, è stato insignito nel 2021 della medaglia dell’Ordine professionale per i 50 anni di attività. Deputato e poi Senatore della Repubblica dal 1992 al 2013; è stato Ministro della Giustizia nei Governi Berlusconi II e III (2001-2006) e Viceministro presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per il Governo Berlusconi IV (2009-2011). È stato anche segretario federale all’interno della Lega Nord. Uscito dalla politica nel 2013, si è dimesso dalla “Salvini Premier” nel 2021 in totale disaccordo con la svolta centralista e meridionalista del partito, che ha abbandonato un Nord da troppo tempo senza voce e gravato da problemi storici di un centralismo soffocante e iniquo. Durante il suo mandato, ha affrontato diverse questioni legate alla riforma della giustizia, promuovendo misure per semplificare i procedimenti giudiziari e migliorare l’efficienza del sistema legale.

Diversi sono i temi affrontati nell’intervista e nel suo intervento durante la serata.

Riforma della Giustizia e separazione delle carriere

Da ex ministro della Giustizia, cosa pensa dell’attuale e tanto discussa proposta di riforma della magistratura che prevede la divisione delle carriere dei magistrati?

«Ne penso bene per un motivo tecnico, perché sicuramente le due carriere vanno separate; non c’è paese democratico occidentale al mondo in cui i procuratori siano pari ai giudici; non esiste, è un unicum italiano, quindi con questa proposta entriamo in un sistema che è quello di tutti i grandi paesi democratici. Sicuramente in Italia c’è un problema di magistratura perché qui la giustizia non funziona, c’è qualcosa che non va; mi sembra che la magistratura pensi più ai propri interessi piuttosto che all’efficacia del proprio operato a vantaggio dei cittadini. Questa riforma non risolverà i problemi di funzionamento della giustizia, ma sicuramente potrà apportare dei miglioramenti. Ritengo tuttavia ancora più importante la eventuale legge sulla riforma della giustizia disciplinare, che prevede una sezione disciplinare separata dal Consiglio Superiore della Magistratura».

L’uscita dalla Lega Nord, la questione settentrionale e la fondazione del Partito Popolare del Nord – Il Nord è rimasto orfano della Lega.

Nel 2013 ha lasciato la Lega Nord, quali sono state le motivazioni principali che l’hanno portata dopo tanti anni a fare questa scelta?

«Io sono nato alla “corte” di Umberto Bossi che è entrato nella politica italiana portando delle parole che erano totalmente sconosciute ai più: come federalismo, identità culturale, identità di popolo, autogoverno. Sono cresciuto politicamente con queste idee e questi principi.

Mi sono ritirato dalla politica del 2013 perché avevo pensato che, ormai, dopo 21 anni di Parlamento, fosse giusto che entrassero forze nuove, i giovani. Ero stanco e mi sono ritrovato, con la svolta di Matteo Salvini, che ha buttato le ortiche i principi originali della Lega Nord per diventare un partito centralista, un partito nazionalista, che ha abbandonato completamente le idee iniziali; oggi il Nord è orfano. Tuttavia, a mio avviso, la questione settentrionale esiste ancora, ed è attualissima.

È anche una questione economica, perché mezza Italia sostiene e crea il PIL e mantiene l’altra metà. Il Nord attualmente sta entrando in una crisi terribile grazie al fallimento di venticinque anni di politica europea, di globalizzazione ed ora non ce la fa più. Le aziende stanno fallendo una dopo l’altra. Che cosa sta accadendo? Le fabbriche tedesche stanno chiudendo, di conseguenza le fabbriche italiane, bresciane, bergamasche, che sono loro fornitrici per quanto riguarda la produzione di valvole, cambi, ingranaggi, ecc. Il Nord ha bisogno delle proprie risorse, non possiamo più permetterci che vadano disperse in tutta la nazione. 

Vogliamo essere il sindacato del Nord perché oggi, pur essendo il motore trainante dell’economia italiana, non è più rappresentato da alcuna forza politica. Noi vogliamo raccogliere le istanze di tutti quelli che si sono sentiti orfani di una Lega che ha abbandonato la questione settentrionale e che adesso sta cercando in qualche modo di recuperare ma in maniera, a mio avviso, poco credibile. Salvini di fatto ha snaturato la Lega».

L’autonomia differenziata

Altro tema “caldo”, recentemente parzialmente bocciato da una sentenza della Corte Costituzionale, è quello dell’autonomia differenziata.

«In un passaggio della sentenza si dice che i popoli regionali non esistono e che esiste un solo popolo: quello italiano. Se si va a vedere chi sono i giudici che l’hanno votata, provengono quasi tutti dal centro e dal sud. Generalmente un popolo dominante o ha la forza economica o ha le armi; invece noi, pur avendo la forza economica, siamo sottomessi ad altri. Sono meravigliato del fatto che lo stesso Luca Zaia, presidente della Regione Veneto nel cui statuto regionale di parla di “popolo veneto”, non si sia espresso in merito. Quella delle popolazioni regionali è una questione identitaria e nulla ha a che vedere col razzismo. Le regioni del Nord sono diventate ricche grazie alla capacità, al sacrificio, alla dedizione al lavoro dei nostri padri, degli imprenditori e degli operai che hanno lavorato duramente. Nulla ci è stato regalato, ce lo siamo guadagnati sul campo!».

Il residuo fiscale

L’ex ministro tocca il tema della fiscalità ritenuta troppo pesante in Italia, con una forte disparità tra quanto pagato dai cittadini ed il ritorno in termini di servizi e infrastrutture e di qualità degli stessi.

«Tutti oggi si lamentano delle tasse perché sono veramente eccessive; se facciamo il conto di quanto paghiamo e aggiungiamo anche l’I.V.A. sui prodotti che acquistiamo, alla fine ci resta in tasca circa il 20% dei nostri guadagni. È evidente che è giusto pagarle, perché altrimenti non avremmo le opere, i servizi e la sicurezza. In uno Stato ideale se pago 100 di tasse dovrei ricevere 100 in servizi, ma le cose non stanno così. Dove vanno tutti questi soldi pagati dal Nord? Oggi il nord paga 100 miliardi all’anno che per la maggior parte non tornano più indietro. Attualmente le imprese del Nord sono in difficoltà; non possiamo più permetterci di farci sottrare una ricchezza così imponente ogni anno: ma chi parla di questo tema? Qualcuno ne parla? Ecco perché, a mio avviso vale la pena combattere ancora per “la questione settentrionale”». 

Gli ideali del Partito Popolare del Nord – Autonomia e libertà

«Lo Stato per definizione è centralista, il federalismo non è più di moda, e quindi è evidente che, se la mentalità è questa, allora passa anche l’idea che forse è meglio il centralismo dell’autonomia e dell’autogoverno. Siamo convinti che questa strada ci porti ad un declino sempre maggiore; dobbiamo tornare a essere padroni del nostro destino, dobbiamo tornare ad autogovernarci. Dopo venticinque anni di politiche europee possiamo fare un bilancio e vediamo che il nostro potere d’acquisto è sceso notevolmente e che l’economia del Paese è debole e in crisi. L’Europa, che doveva renderci più ricchi, ci ha reso più poveri. Come Partito Popolare del Nord pensiamo che la via d’uscita sia una maggiore autonomia, maggiore autogoverno e minori tasse da portare a Roma attraverso il residuo fiscale. Se arrivassimo ad avere uno Stato confederale come la Svizzera, forse riusciremmo a superare questa crisi sia dal punto di vista identitario che finanziario. In questo momento non c’è più nessuno che porti avanti queste idee, siamo i soli che cercano di pensare al bene della Nazione e non al tornaconto personale e politico come fanno molti altri; pensiamo che sia l’unico modo per poter cambiare le cose e rendere l’Italia un Paese migliore».

Emanuele Lopez