La scorsa volta abbiamo lasciato Vespasiano Bona in Polonia, vedovo della figlia del cancelliere che a quanto sembra, avrebbe ridotto lui stesso alla disperazione. Non si fece nemmeno molte remore a lasciare i figli in custodia d’altri quando nel 1735 raggiunse Konigsberg, nella Prussia ducale. Qui la 17enne Dotorea Teresa Heinke era considerata il miglior partito della città, unica figlia orfana di un ricco mercante. Ovviamente si fece avanti da bravo ingannatore. La giovane e la madre rimasero incantate, ma al resto della famiglia non piaceva l’idea che tanta ricchezza finisse nelle mani d’uno straniero, e la questione finì in tribunale. Il concistoro tuttavia pensò che non si poteva impedire un matrimonio voluto dalla fanciulla e autorizzato dalla madre. Così per i motivi giusti, si finì coll’approvare un matrimonio sbagliato.

Vespasiano ci mise solo due anni a dilapidare gli averi della moglie, che nel frattempo s’era portata con lui a Varsavia e poi a Danzica, dove nel 1737 il Bona le avrebbe strappato gli ultimi diamanti e preziosi ch’ella aveva, abbandonandola prima di vagabondare per l’Europa nei successivi 4 anni. La povera Dorotea ottenne solo nel 1738 l’annullamento del matrimonio.

Bona girò per il continente abbandonando l’esercito polacco per servire quello svedese, riuscendo persino ad evadere da una prigione prussiana in cui era stato rinchiuso come spia. Rispuntò a Stoccolma nel 1741 dove ottenne un titolo onorifico di General Maggiore. Un titolo senza stipendio ma che gli servì per gabbare molte persone, in particolare quando nel 1745 tornò in Francia, a Parigi.

Alzò ancora il tiro, spacciandosi per Conte di Bona, parente del cardinale e nominato dal re di Svezia maggior generale al comando di un fantomatico “reggimento Bona” di quel regno. Non solo, millantava una rendita annuale di 20mila lire grazie ad ampie terre in Lombardia e la proprietà di un magnifico palazzo in Brescia, dove di fatto esisteva una famiglia Bona di nobili origini.

Mirava alla damigella Francoise Jamet, vedova du Pasquier, ottima ereditiera. Fu semplice ottenerne la mano, sposandola nel 1745 nella chiesa di Saint Suplice. Nelle clausole del matrimonio, il nostro protagonista si dichiarò “messer Vespasiano Sebastiano Felice conte di Bona, nativo di Rovato, general maggiore dell’armata di Svezia e colonnello di reggimento di fanteria, nato nel 1699”… mentì persino sulla sua età, ma non celò mai la sua patria natìa.

Partitosene per Milano, dove voleva organizzarsi per dare una parvenza di reale alle sue mistificazioni, scrisse a moglie e suocera di partire per Lione, dove il figlio maggiore del Bona e due lacché le avrebbero poi scortate fino in Italia. Ma raggiunta Lione, la suocera si accorse che qualcosa non quadrava. Dopo accesa discussione col giovane Bona, lei tornò a Parigi mentre la figlia proseguì nel suo viaggio. Il castello di carte iniziava a crollare.

Le notizie della figlia, alloggiata in condizioni miserrime a Bergamo, e la scoperta del precedente matrimonio annullato in Prussia spinsero i signori Jamet ad interpellare il Re. Le cancellerie si misero in moto: i ministri di Francia scrissero all’ambasciatore veneto, ed in seguito operarono gli inquisitori della Serenissima che arrestarono il Bona e lo portarono nelle prigioni di Brescia. La povera Jamet tornò in Francia ma, non è chiaro come, nel 1746 il Bona riuscì a fuggire rifugiandosi in Lorena. Qui le autorità reali lo invitarono ad abbandonare Nancy e da quel momento, si persero le sue tracce per sempre.

Vincenzo Bona è considerato un precursore degli avventurieri del ‘700 come Casanova e Cagliostro, che tramite millanterie, truffe e corteggiamenti si sarebbero fatti strada nelle corti europee. Una vita alla Barry Lyndon di Kubrickiana memoria la sua, con molta meno innocenza e nessuna redenzione finale, serbando quel gusto amaro della mancata punizione e del nome di Rovato macchiato in tutto il continente.

Alberto Fossadri