Prosegue, nell’ambito della seconda stagione di conferenze, quest’anno dedicata al tema dell’ “Ascolto”, la proposta culturale dell’associazione rovatese “Il Filo” con la serata “Il dialogo che guarisce”.
Un’emozionante e toccante duplice testimonianza di come è stato ed è vissuto il dolore provocato dagli eventi della lotta armata che scossero l’Italia negli anni ’70. Al tavolo Maria Agnese Moro, figlia dell’onorevole Aldo Moro, rapito ed ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978 e Franco Bonisoli, ex brigatista, membro della direzione strategica delle Brigate Rosse e del comitato esecutivo.
Sullo sfondo dei racconti personali di vita vissuta il tema della “Giustizia riparativa”. «Una nuova prospettiva di giustizia che agisce sul piano relazionale – dice la presidente dell’associazione Elena Pellerey in apertura di serata – una giustizia dell’incontro fra vittima (soggetto che ha subito un torto) ed il responsabile dell’offesa. Un percorso attraverso il quale il dolore degli uni e degli altri può essere visto, riconosciuto e toccato. L’obiettivo non è punire, ma quello di rimuovere le conseguenze del torto subito mediante l’ascolto l’uno della sofferenza dell’altro e la scoperta che chi ha offeso ha una ferita da curare, lontano da ogni forma di facile perdonismo».
Sala gremita al teatro Torri di Cologne la sera del 1° ottobre scorso per ascoltare due testimonianze con in comune il tema del dolore, vissuto in termini diversi.
Tino Bino, editorialista del Corriere della Sera, ha sapientemente moderato la serata, non solo presentando adeguatamente i relatori, ma fornendo al pubblico (oltre un centinaio i presenti) la chiave di ascolto corretta, scevra di giudizi e pregiudizi, permettendo così a tutti di restare aperti mentalmente alle testimonianze, per interiorizzare qualcosa di nuovo, di diverso, al di là dei normali schemi del pensiero sociale.
Agnese Moro parla della giustizia riparativa e di come se la rappresenta. È un cammino lungo fatto insieme che richiede l’accoglimento da parte della comunità. Agnese, dal 2011, fa parte del “Gruppo dell’incontro”; un gruppo centrato sul dialogo tra le vittime e gli ex appartenenti alla lotta armata. Gli incontri hanno rappresentato un viaggio attraverso l’inferno interiore rappresentato da due facce: la “dittatura del passato” e “l’essere come un insetto in una goccia d’ambra”. La prima costituita dal rivivere ogni singolo giorno: l’agguato, il rapimento, l’uccisione della scorta ed in seguito quella del padre mentre la vita continua a scorrere; la seconda faccia è data dai sentimenti feroci nati da quella vicenda: orrore, odio, ferocia, senso di colpa; sentimenti che non si possono esprimere e che nessuno può capire. Grazie al padre gesuita Guido Bertagna decide di partecipare a questo gruppo L’incontro con le altre vittime, vedere i loro volti ed il passare del tempo la aiuta a relativizzare il passato. «Puoi ascoltare davvero – racconta – se ti disarmi …loro sono venuti disarmati e pronti ad accettare qualsiasi nostra parola…noi abbiamo ascoltato loro e loro noi…». Questo percorso le ha consentito di riportare il passato al suo posto e “pulire le memorie”, ossia recuperare il ricordo positivo di quel pezzo di vita in cui suo padre era vivo. Tutto ciò è stato reso possibile grazie al riconoscimento del dolore reciproco. Questo crea dei ponti, dei legami positivi e nuovi.
Franco Bonisoli,riconoscendo fin da subito una grande responsabilità rispetto ai fatti accaduti ed alla storia, racconta della fede cieca nella lotta armata che vedeva l’uso della forza come strumento per cambiare la storia. Si dipinge come una sorta di “monaco guerriero” che aveva abbandonato tutto per poter raggiungere lo scopo: una rivoluzione per abbattere lo stato di cose presente per un mondo nuovo chiamato comunismo, che prevedesse un livello di giustizia sociale che allora non c’era. Per le BR La forza politica doveva avvenire attraverso le azioni armate: prima contro le cose e poi contro le persone. Per loro non si trattava di persone ma, in una logica di guerra, di ruoli e di funzioni. L’attacco allo Stato passava attraverso queste figure questi ruoli. Nonostante gli anni di carcere la fede in questi ideali non calava fino a quando, grazie al direttore di un carcere che aprì al dialogo con i detenuti e ad un cappellano che pubblicamente evidenziò il disagio dei carcerati, la politica cominciò ad interessarsi delle condizioni di vita dei detenuti arrivando negli anni ’80 alla legge Gozzini sulla riforma delle carceri; questa portò al miglioramento delle condizioni di detenzione. Proprio in quegli anni le sue convinzioni granitiche cominciarono a vacillare e a comprendere che, probabilmente, i metodi utilizzati per raggiungere quegli ideali erano stati sbagliati. Dopo 22 anni di prigionia ed aver pagato il debito con lo Stato, non si accontentava di come si sentiva.
«Mi ritengo uno sconfitto – racconta – non solo sul piano politico militare, ma soprattutto sul piano personale. Dico sempre ai giovani che la violenza, che può sembrare una scorciatoia, genera solo violenza e non può portare da nessuna parte. Sono contento di essere uno sconfitto perché, se la lotta armata avesse vinto, avremmo finito per usare gli stessi metodi utilizzati da coloro che combattevamo al fine di tenere il potere. I valori sono gli stessi di allora, ossia credere in un mondo migliore, stare sempre dalla parte degli sfruttati e dei deboli, ma si tratta di viverli con altri metodi».
Franco ha avuto per molti anni il senso di colpa per quanto commesso, ma questo lo incatenava al passato e non lo spingeva ad andare avanti. Grazie al percorso fatto col gruppo, è riuscito a trasformare il senso di colpa in senso di responsabilità. Da qui anche l’idea di continuare a portare questa testimonianza, sperando che possa essere accolta da chi ascolta.
Due testimonianze davvero forti, che dimostrano come la “Giustizia riparativa” può essere uno strumento di recupero efficace che va oltre la giusta pena e possa portare, attraverso il dialogo e le parole, al ritrovamento della persona umana.
Vittime e criminali sono persone che vivono sofferenze diverse ma che, incontrandosi, possono arrivare ad instaurare dei legami che consentano loro di cristallizzare quel passato sempre presente, dandogli la giusta dimensione. Il Dialogo, l’Ascolto, hanno consentito loro di superare i sensi di colpa che li incatenavano ai tristi eventi vissuti così da andare avanti ed essere testimoni di fronte alle giovani generazioni, per ravvivare in loro i valori positivi della vita, per la costruzione di un mondo migliore.
Emanuele Lopez