Ai tempi nostri si fa un gran parlare di vino, che sia Lugana o Franciacorta rimane in ogni caso il prodotto di punta che sta sulla bocca di ogni bresciano che si rispetti. Una bella fetta di cultura popolare l’ha acquistata anche la nordica birra, della quale sono fiorite molte ditte anche nel bresciano e che potrebbero vantare antica tradizione, richiamando la storia della Wührer. Sembrava finito nel dimenticatoio il settore dei liquori, anche se negli ultimi anni si è mosso qualcosa.
Se chiedessimo al bresciano medio qual è il liquore tipico del nostro territorio, la stragrande maggioranza non saprebbe rispondere. Stiamo parlando dell’Anesone Triduo, un liquore all’anice messo a punto nel 1824 dall’orceano Cristoforo Reboldi. Premiato in varie esposizioni universali e apprezzato in tutta Europa e in America, il brevetto dell’anesone triduo passò alla ditta Rossi di Orzinuovi e, infine, ai fratelli tirolesi Mancabelli trasferitisi a Brescia. Un liquore dalla storia gloriosa legato al consumo del caffè, che declinò in favore della Sambuca Molinari, finché negli anni ’80 del novecento la famiglia Mancabelli fermò la produzione.
Nel XIX secolo pare che un po’ in tutta Europa fiorisse la sperimentazione di erboristi e farmacisti nella creazione di bevande e liquori, mischiando gli ingredienti più disparati, da quelli biologici a quelli farmaceutici. La più famosa di tutte, la Coca Cola, è sufficiente come esempio. Nel bresciano sembra che andava per la maggiore la produzione di liquori fatti con erbe raccolte in loco o con frutti tipici della zona: come per il liquore prodotto dai fratelli Zizioli a S. Eufemia (presente all’Esposizione del 1904), o il liquore di cedro prodotto a Gargnano da Ludovico Samuelli nell’800, che ovviamente insieme alla Tassoni rievoca l’antica storia bresciana nella distillazione di questo agrume, che affonda le radici fin dal XVI secolo.
Nell’800, l’amaro alle erbe che più di tutti conquistò bresciani ed italiani è l’Elisir Dieci Erbe di Rovato, del quale sono venuto casualmente a conoscenza leggendo i testi di Antonio Racheli. Una ricetta di Giovanni Battista Frassine, appassionato di botanica ed enologo che, tra le altre cose, elaborò anche una ricetta per uno champagne prodotto in casa.
Il Frassine ha registrato tutti i suoi esperimenti dall’aprile 1865 al 18 marzo 1867, quando ritenne conclusa e definitiva la ricetta (che invero aggiornò nel 1872). Prodotto nel laboratorio di via Abate Angelini, ebbe immediatamente successo, tanto che il Frassine aveva un rappresentante anche a Buenos Aires e nel 1884 ebbe il diploma di “Fornitore della Real Casa del Duca d’Aosta”. Lasciò in eredità al figlio G.B. Frassine (Tita) ricetta e produzione, che nel ‘900 passò alla ditta Torri Carlo che la produsse fino agli anni ‘60. Oggi una cantina di Erbusco, riesumando gli scritti del Frassine, ha riportato in vita la bevanda.
Si tratterebbe di un amaro prodotto con 10 erbe raccolte sul Monte Orfano (anche se dal bollettino parrocchiale del 1952 emergerebbe che non tutte sarebbero del nostro monte). Viene descritto come un amaro digestivo, aperitivo e ricostituente, da bersi un goccio prima e dopo i pasti. Quello che veniva a volte chiamato “assenzio del Montorfano” venne apprezzato anche in Vaticano, tanto che nel 1950 giunse una lettera lusinghiera alla ditta Torri, con i ringraziamenti e la benedizione del Papa. Una lettera redatta per sua mano dall’allora Segretario di Stato, Giovanni Battista Montini.
Alberto Fossadri