Il pesce d’aprile è un’usanza che affonda le sue radici nel mistero.
Non sappiamo nemmeno quando è nato: chi sostiene nel medioevo, chi nell’anti-chità.
Una tradizione bresciana vorrebbe che il primo pesce d’aprile fosse stato giocato al biografo romano Cornelio Nepote dal padre (I sec. a.C.), che sarebbe riuscito a fargli “pescare” un pesce morto da giorni nelle acque del Po, intorpidite dal gelo invernale.
Convinto d’aver catturato una preda, avrebbe scatenato l’ilarità di tutti e gli amici che, per prenderlo in giro, ogni anno gli avrebbero fatto trovare un pesce di stoffa per rivivere il momento comico.
I bresciani, spesso noti come burberi individui, sanno scherzare e stare allo scherzo, e nel passato si sono segnalati tanti casi di pesci d’aprile che riguardano il nostro territorio e, a quanto sembra, perfino un Papa ci ha tirato una burla. Nel 1815 Pio VII partì da Genova per Milano e nei primi giorni di aprile era atteso a Brescia che ferveva di preparativi (era dal 1418 che un pontefice non visitava la nostra città). Insomma, i bresciani attesero… ma il Papa “tirò un pacco” e i bresciani ironicamente lo presero come un pesce d’aprile.
L’usanza degli scherzi prese una piega piuttosto vivace sul finire del XIX secolo, quando i giornali iniziavano ad avere una diffusione di massa. I quotidiani, anche locali, si divertivano a diffondere ogni 1° aprile notizie sensazionalistiche che attiravano curiosi e avventori verso i luoghi dove erano indicati avvenimenti degni di grande interesse.
In questa maniera i giornali riuscirono a indurre numerose persone a scavare in corso Magenta per cercare enormi quantità di monete antiche che vi sarebbero state rinvenute, oppure nel 1905, molti furono convinti di poter vedere sfilare in stazione i feriti russi della guerra Russo-Giapponese.
Ma il mio preferito resta quello del 1° aprile 1882, diffuso da un tale sig. Omodei di Lodetto che, dopo aver riempito alcune cave con l’acqua della seriola Nuova, diffuse la notizia che nella frazione rovatese fosse arrivato il mare! (Magari. Con questo caldo farebbe comodo una spiaggia in quel di Lodetto).
Da mesi speravo di poter approfondire questa storia, ma le restrizioni agli accessi negli archivi causa covid e l’hacke-raggio del sito internet del Comune di Brescia, attraverso il quale erano consultabili i vecchi giornali locali della emeroteca Queriniana, mi hanno reso impossibile verificare l’evoluzione della tradizione di “Lodetto al mare”, che tornò in voga negli anni ’20 del secolo scorso allentando le angosce del primo dopoguerra.
Da uno scherzo nacque un allegro evento, a cui nel tempo si aggiunsero gare e kermesse. Con due barche trasportate qui dal lago d’Iseo e alcune botti tagliate a metà per fare dei canotti, a Lodetto ci si divertiva, e per far capire quale strana gente abitava questo borgo, si pensò bene di allestire un asino in cartapesta, con tanto di ali, da muovere su e giù dal campanile per mezzo di corde e carrucola.
Recandosi alla festa dai paesi vicini, i padri prendevano per mano i loro figli dicendo: «’ndom a éder l’asèn che ùla!».
Un peccato che i lodettesi abbiano dismesso questa tradizione, anche perché da fuori iniziano a pensare che il paese degli asini sia quello dove scrivo (a Duomo!), ma non ci dispiacerebbe se questo primato rimanesse nella frazione confinante… ovviamente, si dice per ridere.
Alberto Fossadri