Il 4 dicembre 1690 nasceva a Rovato Vespasiano Bona (talvolta chiamato anche Sebastiano). Il padre Ottavio (+1695) faceva lo speziale (il farmacista), un mestiere redditizio, ma certamente non del livello nobiliare a cui Vespasiano avrebbe millantato di appartenere. Per fare un quadro abbastanza chiaro della sua vita mi vedo costretto a tagliare la sua storia in due puntate.
Da ragazzo era molto intelligente e manifestava un certo interesse per la religione, tanto che il 2 ottobre 1710, la sua vocazione lo portò ad indossare l’abito entrando nell’ordine dei Serviti, sul convento del monte Orfano. Assunto il nome di fra Alessandro, svolse il noviziato a Venezia dimostrando un grande fervore, permettendogli di prendere i voti a Rovato nell’ottobre dell’anno seguente.
Tutta quella spiritualità svanì velocemente. Nessuno sa come il Bona sia caduto in certi eccessi, fatto sta che questa spirale lo condusse dalle stelle alle stalle nel giro di un anno. Il 3 settembre 1712 il confratello padre Antonio Zigliani pretese da lui la restituzione di una certa somma di denaro. Vespasiano per tutta risposta gli sparò, ma avendolo mancato lo uccise a colpi di coltello. Dopo aver commesso questo orrendo crimine, fuggì dal convento di Rovato e abbandonò lo stato veneziano riparando in Francia, dove la necessità lo spinse ad arruolarsi. Ma com’era stato infedele alla religione, lo fu anche con l’esercito. Disertò nel 1719 e tornò nella sua patria pensando che il tempo fosse stato sufficiente a dimenticare il suo delitto. Riuscì a farsi dei protettori e a lavorare come reclutatore per le milizie venete, ma per un qualche accidente finì per ammazzare in duello un luogotenente svizzero che militava per la Serenissima.
Scappò nuovamente, ma non potendo tornare in Francia passò al servizio della Spagna nel 1721. Ma anche qui finì per uccidere in duello un ufficiale italiano, parente di un alto prelato che il destino gli avrebbe fatto conoscere. Dunque nel 1725 fu costretto ad abbandonare anche i domini spagnoli andando dall’altra parte d’Europa, in Polonia. Qui il suo acume criminale lo spinse a cambiare strategia ed a puntare più in alto. Arrivato alle corti polacche si dichiarò cavaliere e si vantava d’appartenere alla nobile famiglia dei Bona, nonché d’essere parente del cardinale di quella famiglia. Approfittando del suo cognome, che era uguale a quello della nobil casata, la sua storia era del tutto verosimile.
Così riuscì a venire ammesso al Corpo delle Guardie di re Augusto. Questa posizione, e le sue capacità di apparire piacente, gli permisero di farsi amici e protettori potenti. Tra essi l’abate Arcelli di Varsavia, ignaro ch’egli gli aveva ammazzato in Spagna un parente. Entrò anche nelle grazie del generale Poniatovsky di cui diventò confidente. A corte finì per sedurre ed insidiare una giovane di 16 anni, nipote del Simonetta, notaio di corte e cancelliere. Scoperta la relazione nel 1727 a causa di una gravidanza indesiderata, il Bona ricusò la ragazza, ma venne costretto a sposarla sotto minaccia d’essere bandito anche dalla Polonia. Solo un mese dopo il matrimonio, nacque il bambino. Ne avrebbe avuti altri due dalla povera Marianna Simonetta, prima che costei morisse a soli 23 anni, fiaccata dalle dissolutezze del marito e pare, anche dalle sue botte.
Non abbastanza coinvolto da scandali e sregolatezze, il Bona dovette vivere anche qui da latitante dopo esser stato scoperto a far fuggire un prigioniero di stato, un altro italiano che come lui si era avventurato in Polonia in loschi affari. Solo con la morte di re Augusto poté tornare allo scoperto e mettersi al servizio di Stanislao, bisognoso di ufficiali per la guerra di successione al trono polacco. Ottenne persino il brevetto di colonnello, ma a quanto pare la sua reputazione lo fece disprezzare anche dal re stesso. Tuttavia questo nostro concittadino avrebbe saputo fare ancora di peggio, ma il racconto proseguirà la prossima volta.
Alberto Fossadri