Senza lei, Orzinuovi è più povera, il paese ha meno carità, meno affabilità, meno severità negli atti di aiuto e di amicizia.
Enrica Sartorio vedova di Sergio Tiraboschi, aveva 88 anni, credo nascondesse un bel po’ di acciacchi, come fanno certe madri esemplari, dedicandosi ad una laboriosità domestica incessante: lavorava e forse lavorava pregando nella mente, secondo una serie di rosari e di giaculatorie conosciute perfettamente da lei, riferimento dei terziari francescani non solo di Orzinuovi.
Eppure, la signora Enrica manifestava una naturale eleganza femminile e una bellezza ancora accertabile nei lineamenti di un’età pure ragguardevole con uno stile libero dentro la solidità dei suoi principi di donna, madre e nonna cattolica, al cento per cento, da ingelosire i dubbiosi e mettere in angolo i non credenti per via di una sicurezza ad affermare la sua fede proprio così come viene scritta dalle Scritture sacre e dalle scritture dei buoni comportamenti umani.
La sua fede era operativa, oltre il credo la messa del giorno, la sua fede si fabbricava nelle opere, senza che nessuno dovesse conoscere che lei aveva donato e nonostante il suo silenzio e la pretesa che si tacesse il suo bene elargito a larghe mani, tutti intuivano che la signora Enrica faceva del bene. Conosceva dov’era la necessità secondo la mappa di chi semina carità e raccoglie le informazioni dal cielo.
La circondava un rispetto e una simpatia generale in virtù di una conoscenza passata di parola in parola e il paese conosceva il valore di una signora non clericareggiante e però mai in fuori gioco nel contraddittorio intorno al credo cristiano e spesso in contropiede appena scopriva l’avarizia dei superbi e dei cosiddetti potenti.
Enrica Tiraboschi era il riferimento dei figli e dei nipoti, laggiù, alla filanda, luogo storico di una Orzinuovi sulla punta delle mura storiche.
Tutti le ruotavano intorno, i figli Luca e Cristian, con i loro figli, Roby di Luca e Paola, Viola e Vittorio di Cristian e Teresa; e in giornata, a un’ora o l’altra arrivavano i figli di Gloria, Luca e Marco a circondarla di un bene gioioso, perché lei, in fondo, la madre e la nonna assomigliava a un’idea di gioia e di sicurezza.
Così che spesso i nipoti si trasformavano in figli e i figli in nipoti.
Non si nasconde in questo modo il bene che cancella gli anni e si fa amore di famiglia?
Enrica Sartorio Tiraboschi è stata una madre e una nonna speciale, c’era sempre, sapeva riprendere e infine donare, non senza dire la sua, anche con quel tanto di rimprovero accompagnato alla dedizione.
E’ stato un punto incontrovertibile di educazione pratica, affidando alla preghiera il possibile in terra, affidando l’ultima speranza al mistero, perché la fede, diceva, è aiuto ed è mistero.
L’ultima volta, prima dell’addio, l’abbiamo vista nella sua casa, sembrava dormisse e soltanto un rosario celeste tra le mani avvertiva che stava già a interloquire coi Santi.
Lei rimane una di quelle rare mater admirabilis, madre ammirevole, che trovi in fondo al rosario: termina con prega per noi ed è ciò che le affidiamo, preghi per noi, signora Enrica che noi, inutilmente, pregheremo per lei, che non ne ha bisogno. L’abbiamo salutata in tanti, nella chiesa parrocchiale di cui conosce a memoria dipinti, spigoli, vetrate e postazioni.
Si sedeva spesso a sinistra dell’altare, era una certezza nello spazio della bella chiesa orceana. Infine usciva e andava diritta alla sua casa, ricevendo il saluto dei figli e dei nipoti.
Cento metri là in fondo, dove il sole tramonta e illumina, per ultimo, la sua filanda, signora Enrica, la sua e del suo compianto marito Sergio, dei figli e dei nipoti, in un’unità popolare di amore di cui si conoscono gli accenti elargiti nella carità costante e silenziosa di lei, eccellente signora di Orzinuovi.
Tonino Zana