Siccome noi della Bassa non vogliamo farci mancare niente, oltre al Covid (che è in fase di regressione, ma non è ancora stati debellato), oltre alla guerra (che è in Ucraina, ma che ha conseguenze anche qui da noi; vedi, ad esempio, alla parola profughi), oltre al salasso delle bollette (che erano già aumentate prima, ma che con la guerra sono salite ulteriormente), dobbiamo fare i conti anche con l’aviaria, un’infezione virale causata dai virus della famiglia Orthomyxoviridae.
Identificata per la prima volta in Italia più di un secolo fa, l’influenza aviaria è una malattia degli uccelli causata da un virus dell’influenza di tipo A, che può essere a bassa o ad alta patogenicità. Dal 1997 al 2005, l’Italia è stata interessata da 6 epidemie di influenza aviaria. Ora ce n’è un’altra, che s’è manifestata lo scorso autunno. E siccome l’aviaria colpisce anche soprattutto le aree ad alta densità di allevamenti avicoli, capirete che, tanto per cambiare, noi della Bassa ci siamo dentro un’altra volta.
Se non avete dimestichezza con i capannoni dove dovrebbero essere allevati gli animali, per rendersi conto che siamo in pandemia da aviaria basta fare un giro il venerdì mattina al mercato di Montichiari: là dove dovrebbero essere sposti polli, galline, tacchini, anatre, faraone e via dicendo, c’è il vuoto assoluto. Niente di niente.
Per farla breve: il risultato di questa situazione è che, oramai da alcuni mesi, molti allevatori della zona hanno i capannoni vuoti; e quelli che non li hanno vuoti si trovano con le pive nel sacco o poco di più, perché, oltre al problema dell’aviaria in sé, c’è anche quello di cui abbiamo già accennato, relativo all’aumento dei costi: innanzitutto dell’energia (stiamo parlando di veri e propri salassi) e poi di tutte le spese in generale, a cominciare dai mangimi, perché gli aumenti dell’energia si ripercuotono a catena su tutta la filiera.
Insomma: gli allevatori della Bassa non sono alla disperazione, ma poco ci manca. Che fare, allora? E’ chiaro che, esattamente come è accaduto con le altre realtà produttive al tempo del Covid (ricordate i famigerati ristori dell’epoca Conte?), anche queste aziende, se vogliamo che si rimettano in piedi e ripartano, vanno aiutate. Per far questo è però necessario quantificare i danni patiti, perché è ovvio che gli aiuti non devono essere dati a pioggia, ma mirati, proporzionalmente alle perdite subite a causa dell’aviaria.
Ecco allora la richiesta, da parte di numerosi allevatori di avere al più presto «le linee guida per la quantificazione dei danni subiti e un regolamento di esecuzione al fine di ricevere dagli opportuni enti, se non il saldo, almeno un anticipo economico che ci possa aiutare nella ripartenza».
Riusciranno la politica e i politici a salvare i nostri allevatori? L’assessore regionale Fabio Rolfi fa sapere che Regione Lombardia è disponibile a riconoscere gli anticipi, ma a patto che i danni subiti dagli allevatori siano quantificati. MTM