Ci ha lasciati con la sua consueta discrezione Giacomo Borio di Tigliole, stimato professionista orceano, uno dei grandi protagonisti della storia recente della nostra città. Uomo d’altri tempi, esponente morale prima che materiale di un’antica nobiltà della migliore tradizione sabauda, benché pienamente “bresciana” per spirito e pragmatismo, “Mino”, come lo chiamavano tutti, i tanti che lo apprezzavano e gli volevano bene per la sua straordinaria empatia, ha lasciato un vuoto incolmabile nella comunità per la quale lui stesso sentiva con orgoglio un imperituro senso d’appartenenza. Una sfida, un tiro mancino che il destino ha voluto toccasse a lui, quel duro incidente dello scorso 9 luglio, che ha vinto sulla sua coriacea tempra di gentiluomo, ma che mai ha esaurito il suo spirito: si era promesso di tornare nella sua amata piazza, di sorseggiare ancora un buon caffè all’ombra della parrocchiale. Anche la dipartita del figlio Roberto, tragicamente scomparso nel 2019, era stata occasione per dedicarsi ancor più ai propri doveri di padre, nonno e marito, coltivando nell’amore la memoria di chi ci aveva lasciati.

Chi scrive, con difficoltà e commozione, queste poche righe, aveva iniziato a conoscere l’ingegner Borio pochi mesi or sono, tanto da iniziare ben presto a chiamarlo affettuosamente solo Mino, quasi fosse “un nonno acquisito”: ci eravamo lasciati con la promessa di sentirci presto per aggiornare un dibattito a cui avevamo avuto piacere di dare vita proprio sulle colonne di Paese Mio. Giacomo era così – ogni giorno un’idea, un progetto, qualcosa in cui impegnare mente e cuore –; un pasionario, si potrebbe simpaticamente dire, tanto ostinato nel perseguire i propri obiettivi quanto rispettoso e dedito al dialogo.

Ad astra, caro Mino, nella speranza, prima o poi, di stringerci ancora la mano.

Leonardo Binda