Prima di narrare il grave episodio avvenuto nel novembre del 1606, corre l’obbligo per chi scrive, di precisare per il lettore il clima politico e militare in cui questo fatto si svolge.
L’introduzione è necessaria perché il lettore possa valutare in tutti i suoi aspetti quale negativa potenzialità l’atto racchiudeva.
Nel periodo in questione Orzinuovi era dominio della Serenissima e rappresentava per la Repubblica Veneta una delle postazioni militari più importanti del suo dominio, in quanto situata al confine con il ducato di Milano controllato dalla Spagna, prima potenza militare europea e tenace avversaria di Venezia.
Dall’aprile del 1606 Venezia era impegnata in un’aspra controversia con il papa Paolo V; controversia originata da motivi non proprio nuovi (l’arresto di due religiosi rei di reati comuni da parte della Repubblica) e conosciuta come l’Interdetto di Venezia.
Il papa infatti aveva scomunicato i governanti veneziani e aveva lanciato su tutto il dominio veneziano l’interdetto, cioè il divieto di celebrare messe e altre funzioni religiose. La vicenda ebbe un’eco enorme negli stati italiani ed europei e tenne in fibrillazione, per le sue implicazioni belliche, le cancellerie di tutta Europa. Scriverà icasticamente l’ambasciatore francese a Venezia: “que tout ce qui est en controverse ne meritoit point d’allumer un si grand feu […] qui les porte à une iliade d’inconvenients pour une Helene de si peu de merite, qu’il ne se trouve point d’exemple en toute l’Histoire du passé, que pour chose si legere la Chrestienté ait esté troublée” (che tutto ciò di cui si discute non merita affatto d’alimentare un incendio così grande […] che li [Venezia e Roma] porta a una iliade d’inconvenienti per una Elena di così poco merito, che non si trovano altri esempi in tutta la Storia del passato, che la Cristianità sia stata turbata per cosa di così poco conto).
Se la controversia si limitò alla guerra delle scritture, non mancarono tuttavia azioni di carattere squisitamente militare come le dichiarazioni di alleanze, gli arruolamenti, gli spostamenti di truppe, gli armamenti, ecc. in vista di un probabile sbocco di guerra guerreggiata.
In questo clima Orzinuovi, fortezza di confine con il più potente degli avversari di Venezia, la Spagna, non poteva non essere oggetto di interesse delle mire spagnole. Da qui una serie di voci, più o meno fondate, ma comunque vigilate con apprensione da Venezia, che denunciavano complotti, tradimenti, attentati, provocazioni per portare Orzinuovi in mano spagnola.
Il fatto.
Il 20 novembre nella chiesa del convento di San Francesco (sita di fronte all’attuale Centro Culturale), furono trovati deturpati due quadri apposti alle pareti raffiguranti Cristo e alcuni Santi: “hanno rotto la faccia ad un Cristo appassionato, postoli due corni in testa, cavato gli occhi a San Francesco, e s. Bernardino, che gli stanno dai lati; sfrisato un altro s. Francesco, e guasto il viso ad un Cardinale, tutti depinti in due quadri sopra ‘l muro del convento di s. Francesco”.
L’empio fattaccio, di per sé grave in qualsiasi momento, diventa gravissimo perché si innesta sul clima parecchio agitato per la controversia con il Papa. La Repubblica, lucidamente, avverte da subito il pericolo che il misfatto possa fornire il pretesto ai nemici della Repubblica di sostenere che le città della Serenissima siano ormai contaminate da presenze eretiche: l’episodio è “cosa che sempre apportarebbe et pregiuditio et damno; ma nella congiuntura dei presenti tempi, nocumento grandissimo per quella ansa, che darebbe a’ maligni et invidi della quiete nostra, di disseminare, che nelle città nostre, vi fossero di già entrati di quei semi falsi, che potessero generare qualche heresia”.
Sabato 25 si riunisce il Consiglio comunale per prendere alcuni provvedimenti di ordine pubblico. Si delibera di eleggere quattro “Capi di guerra”, uno per ogni quartiere, per vigilare armati il paese.
Dal verbale inedito della seduta, tratto dall’Archivio di Stato di Brescia: “Però l’andarà parte che siano eletti quattro di questo honorato consiglio uno per quartiero, sotto il comando de quali ogni persona habitante ne’ suoi quartieri habbia da obedire secondo le occasioni et compiti sudetti”.
Mercoledì 29, a Venezia, iI Consiglio dei X, informato del grave episodio, ordina a Stefano Viaro, provveditore straordinario, e a Marco Pizzamano, provveditore ordinario, di istruire un “diligente” processo contro gli ignoti autori, “con facoltà di procedere in esso con l’autorità di codesto Eccelso Tribunale” (“Il Consiglio dei X poteva delegare il processo con la clausola servatis servandis oppure [ed è il caso nostro] con il proprio rito inquisitorio in virtù del quale i rappresentanti veneziani avrebbero goduto di poteri eccezionali, ritenuti indispensabili per assicurare una pronta ed efficace repressione penale … le principali caratteristiche del celebre rito erano la segretezza e la rapidità decisionale, perseguite anche a costo di sacrificare i diritti degli imputati affinché i reati non restassero impuniti”).
Venerdì 5 gennaio, il vescovo di Brescia invia “all’arciprete [di Orzinuovi] ed al vicario in luogo, il priore di S. Domenico” la lettera di scomunica, nonostante le pressioni veneziane di recedere da questo passo. Nella lettera si dichiarano scomunicati, non solo gli autori dell’empio gesto, ma anche coloro che, in possesso di informazioni che possono portare ad individuare i colpevoli, non denunciano. Dalla lettera: “ciascuno in particolare dell’uno e l’altro sesso, di qualsivoglia sorte, stato, qualità e conditione, e degnità laica o ecclesiastica secolare o regolare, nella terra degli Orzi Nuovi, anzi in tutta questa Diocesi, i quali sappiano, habbiano veduto, o inteso dire, o in qualsivoglia modo hanno havuto, o sentito indicio o congettura di quelli, i quali il giorno 20 di Novembre prossimo passato 1606, hanno rotto la faccia ad un Cristo appassionato”.
Con un dispaccio del 31 gennaio 1607 i due provveditori Pizzamano e Tagliapietra, subentrato all’inizio dell’anno al Viaro, informano il Consiglio dei X sull’andamento delle indagini per scoprire i colpevoli. Nonostante l’accuratezza di queste, non si è arrivati ad una conclusione.
Inutile l’escussione di “molti testimonij” e altrettanto inutile la concessione di un beneficio per chi denunciava: “non è per anco comparso alcuno”.
Conclusione.
Il diligente processo, nonostante i poteri eccezionali attribuiti ai due provveditori orceani, non riuscirà mai a scoprire gli autori del gesto. Così come non avrà alcun esito la scomunica di coloro che, in possesso di informazioni utili, non denunciano. Ciò fa pensare che l’autore (o gli autori) dell’empio atto fosse persona allenata e ben addestrata, che si mosse con agilità e abilità nella esecuzione.
Probabilmente al soldo degli Spagnoli, portò a termine l’azione con lo scopo di favorire tra la popolazione orceana un diffuso e pericoloso malcontento contro la politica veneziana di opposizione al papa.
Per una ricostruzione dell’episodio più dettagliata e documentata, si vedano le pagine 96-104 del mio recente lavoro “Orzinuovi e l’Interdetto di Venezia, 1606-1607, con documenti inediti”, disponibile anche presso la Biblioteca Comunale.