È nella splendida cornice quattrocentesca di palazzo Avogadro, uno dei capolavori dell’architettura gentilizia bresciana, che l’antico, sapientemente coniugato al moderno, ha dato forma all’esposizione “Anatomia dell’essenziale”, curata dal prof. Rossoni dell’Accademia Santa Giulia. Tra gli artisti in mostra figurava anche Greta Barbarossa, artista orceana e alumna dell’istituto d’arte bresciano: disegnatrice poliedrica, personalità vivace e multicromatica, sempre alla ricerca del perfetto (e impossibile) connubio tra ethos classico ed espressività contemporanea.
Una progettualità, quella che ha dato vita alla rassegna, che si inserisce in un progetto scolastico votato alla collaborazione tra gli studenti del corso di Pittura ed ex studenti del corso di Anatomia Artistica, fondato su un approfondito studio delle opere di Roberto Ferri, artista tarentino tra i più apprezzati del panorama contemporaneo. «L’obiettivo del lavoro è stato lo studio dell’anatomia del corpo umano attraverso la resa della sua componente ossea e muscolare, affiancato all’analisi e comprensione del suo funzionamento – ha raccontato l’artista orceana – Le figure scelte, riportate in scala 1:1, sono state così “scorticate”, portando alla luce ossa e muscoli, e lasciando visibile l’esteriorità in misura variabile, a seconda delle parti anatomiche scelte per essere rappresentate». Nonostante fosse stata organizzata per il 2020, l’arrivo, fulmineo e funesto della pandemia ha tardato, a data da destinarsi, la realizzazione della mostra, venuta alla luce, così, in una veste rinnovata, completamente realizzata, in ogni sua parte, dall’estro degli studenti.
«La mia opera, realizzata con pastello carré su carta e misurante 107×175 cm, è l’interpretazione del dipinto “Amore piange sulla tomba di Psiche” di Roberto Ferri – ha continuato Barbarossa – Scelto il soggetto, ho deciso di evidenziare la struttura muscolare delle gambe e braccia alternandola a quella ossea, anche per ottenere un effetto dinamico, in contrasto con la staticità della figura, seduta a terra sul sepolcro. L’accentuazione di luci e ombre mira a far emergere la figura dal fondo scuro, mantenendo l’aura di mistero che emana l’opera originale. È stato un lavoro che ha trovato la piena soddisfazione grazie a questa possibilità espositiva, e che sarebbe stato difficilmente raggiungibile nei suoi risultati senza un importante lavoro di squadra portato avanti coi miei colleghi». Un mito tanto antico, tanto radicato nel sentire comune dell’uomo, da risultare, ancor oggi, estremamente attuale; una conflittualità, quella tra passione e ragione, che attanaglia e informa l’animo sin dai suoi primi vagiti.
Leonardo Binda