Gentile Direttore,
nel corso delle scorse settimane, Orzinuovi ha pianto un suo illustre concittadino, Enrico “Cincia” Maffeis.
Aveva degli occhi magnetici Cincia, di recente turbati e oscurati dall’estremo dolore per la perdita, tanto funesta quanto improvvisa, dell’amata figlia Elena. Ci conoscemmo quando chi scrive, commosso, queste poche righe, era ancora un bambino; il filare di alberi che dava ingresso al suo rifugio, alle “sue” Martinenghine, era ed è stata a lungo l’anticamera di pomeriggi di indelebile gioia. Per un giovane che ha sempre sentito l’amore per la natura, varcare quella soglia significava immergersi in un luogo dove il tempo sembrava fermarsi, con il vento a cullare leggermente i salici e le querce del suo sterminato giardino, calpestando l’erba che, poco prima, era stata solcata dagli zoccoli dei suoi cavalli. Un uomo libero, sì, Cincia, che aveva fatto suo il sogno primordiale e comune di una vita capace di procedere, in qualche modo, a due velocità: la volata dei suoi segugi, l’incedere solenne e cadenzato dei suoi meravigliosi leardi e il ritmo incalzante delle sue feste nell’aia si scontravano, spesso, come in un ossimoro poetico di assoluto fascino, con le sue parole distese, sussurrate all’orecchio di un giovane che guardava a lui come ad un nonno affettuoso e che si dondolava sull’altalena appesa ai rami secolari di qualche essenza della sua Arcadia.
Uomo di successo, rendeva chiunque partecipe della sua gioia; padre premuroso e attendo, era capace di raccoglierti in disparte, all’ombra delle sue voliere, per offrirti qualche germoglio della sua esperienza, raccomandandosi di «continuare a crescere così, senza mai venire meno a sé stessi»; persona umile, sincera, vera.
Ci mancherà e mi mancherà Cincia, come un frammento di gioventù che è volato via con il freddo vento dell’autunno. Eppure, il suo sogno vive, continua a ribollire il suo sangue avventuroso nelle vene di chi è testimone d’eccezione del suo amore: l’adorata Luisa, il “suo” Michele con la moglie Benedetta, i nipoti. Mi mancherà Cincia, ma la colonna che porta inciso il suo nome, benché ormai attaccata dall’edera del tempo, continuerà ad ergersi come uno dei capisaldi della mia vita. E di questo gli sono e gli sarò sempre estremamente grato.
Leonardo Binda