Parlare di relazione, come si sa, è parlare di un universo fatto di mille galassie di sfaccettature, di aspetti, di enigmi e di misteri che, in alcuni casi, sfuggono al nostro controllo, alla nostra consapevolezza. Nonostante queste ombre, resta pur sempre un affascinante campo di osservazione per la molteplicità delle sue sfumature. La relazione è il mezzo attraverso cui noi esseri umani scambiamo non solo informazioni, conoscenze, ma soprattutto veicoliamo dei bisogni che, se nel corso della nostra crescita sono stati soddisfatti (ad esempio il bisogno di appartenenza, di sicurezza, di esplorazione, di stima e considerazione, di amore, di individualità, di autorealizzazione), troveranno modalità di espressione “adulte”, mature, adeguate a quel particolare contesto di relazione e di comunicazione. In altre parole sapremo esprimere in modo spontaneo e sano le nostre esigenze, i nostri pensieri ed emozioni; all’interno di una relazione faremo richieste in maniera sincera; di fronte a qualcuno diverso da noi non assumeremo posizioni difensive o aggressive, non temeremo il confronto, bensì ricercheremo l’intesa, la cooperazione. In sintesi, saremo capaci di costruire relazioni sane per affermare il nostro “esserci”. Se, al contrario, lungo il nostro percorso di crescita abbiamo incontrato degli ostacoli che hanno impedito il pieno soddisfacimento di quei bisogni, la relazione che andremo a vivere con gli altri sarà fortemente centrata sul raggiungimento di quella soddisfazione mancata. In alcuni casi saranno relazioni strutturate secondo rapporti di potere Up/Down. Ciò implica che nella relazione con l’altro ricercheremo con tutte le nostre forze quel riconoscimento, quelle attenzioni (positive o negative non importa, purché siano segnali di attenzione!) di cui siamo stati deprivati in passato, e lo faremo con tutti i mezzi per poter trasmettere il messaggio “ci sono anch’io”. Tra questi mezzi diffusi nell’ambito delle relazioni vi è il “gioco psicologico”, che, però, non ha nulla di divertente. Il gioco è un tentativo ripetuto, ma destinato a fallire, di soddisfare i nostri bisogni inappagati; è al di fuori della nostra consapevolezza e comporta sempre qualche svalutazione di sé e degli altri. E’ come se ci si trovasse invischiati in relazioni da cui ci si voleva tenere lontani. Sembra che si finisca “sempre” in qualcosa di già vissuto, già sperimentato, purtroppo a livello emotivo in modo negativo, senza accorgercene. La classica frase “ecco me le vado a cercare” riassume bene il senso di questa circolarità, ripetitività ad effetto negativo del nostro agire come se ci si trovasse protagonisti di un film il cui finale si conosce già. Le situazioni possono essere le più disparate, dalla relazione affettiva con il proprio partner a quella lavorativa con i propri colleghi o superiori, tutte però unite da un filo rosso comune: un finale inaspettato o meglio disatteso. Questa ripetitività e, soprattutto, l’amaro in bocca che sentiamo e la spiacevolezza che ne deriva, possono essere un primo segnale di qualcosa che stiamo perpetuando senza sapere qual è la nostra parte di responsabilità e il tipo di ruolo che recitiamo sul palcoscenico della vita. Come uscire allora dai “giochi”? Per prima cosa riconoscendone il grado di malessere che procura una certa interazione; se ci si accorge di trovarsi costantemente all’interno di relazioni tutt’altro che gratificanti, vale la pena di fermarsi a ripensare ai propri schemi messi in atto. Da questa analisi potremmo scoprire che vi sono altri modi, questa volta più genuini e meno manipolatori, per soddisfare i bisogni di riconoscimento sottostanti le interazioni. Infine potremmo renderci più consapevoli di quale copione stiamo recitando per imparare a mostrarci per quello che si è, assumendoci la responsabilità dei propri pensieri ed emozioni evitando così di scaricare le colpe sempre sugli altri!
Dott.Ettore Botti
Presidente Centro per la Famiglia Orzinuovi