“Contento, proprio contento/ sono stato molte volte nella vita/ ma più di tutte quando/ mi hanno liberato in Germania/ che mi sono messo a guardare una farfalla/senza la voglia di mangiarla”. I versi della poesia “La farfalla ” di Tonino Guerra pubblicata nel 1946 raccontano in modo significativo la fame patita nei lager tedeschi da 600 mila italiani presi prigionieri, picchiati, e umiliati dai nazisti dopo l’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio, in cui l’esercito italiano si è sfaldato. Per centinaia di migliaia di italiani catturati e deportati in Germania è stato un periodo durissimo, di prigionia e lavoro coatto, perché hanno scelto di non continuare a combattere a fianco degli ex alleati e di non aderire alla Repubblica sociale di Salò. Tra questi 600 mila ci furono anche molti orceani. 300 per la precisione, contati ad uno ad uno dallo storico orceano Cesare Bertulli che, armato di pazienza, ha riesumato i documenti polverosi dell’archivio comunale e si è soffermato su una storia per lo più ignorata e passata nell’ombra.
In un opuscolo, pubblicato nel mese di settembre, dal titolo “Gli internati militari italiani e Orzinuovi repubblicana”, Bertulli fa luce su quegli orceani che fino al 25 aprile 1945 fecero parte dei cosiddetti Imi. E ne fa l’elenco, preservando per privacy la loro identità (peccato, ci vien da dire ndr), ma specificando per ognuno il campo di prigionia in cui ha dovuto soggiornare. In fabbriche, miniere, campagne della Germania e dei paesi da essa invasi,gli ex combattenti sono stati costretti ai lavori forzati, a soggiornare in baracche insalubri, con orari e mansioni massacranti, alimentazione inadeguata, abbigliamento insufficiente e scarsa assistenza medica.
Una storia per lo più ignorata, passata nell’ombra, sulla quale invece l’orceano Cesare Bertulli, appassionato di ricostruzione storiche, ha voluto soffermarsi. “Ho preferito non riportare i nominativi – scrive Bertulli – tuttavia sono tutti nomi di colonne portanti fisiche e morali del nostro paese. Gente che poi, nel primissimo Dopoguerra, ricostruirà e puntellerà Orzinuovi, col sudore in fronte e spesso solo la quinta elementare in tasca”. I documenti studiati da Bertulli sono registri redatti da impiegati comunali dell’epoca, datati 1945, con nomi, cognomi, stato civile, professione, residenza, nazione e sigla del campo di prigionia, data di liberazione (qualora il prigioniero non fosse morto), importo del sussidio assegnato, pari mediatamente a 3 mila lire, e numero di abiti assegnati sia ai reduci che ai familiari, in caso di decesso degli internati. Allora era sindaco Pierino Alberti. Di lui si legge nero su bianco la firma sotto la richiesta di aiuto da parte dei reduci rientrati a Orzinuovi, che così recitava: “Chiedo al sindaco l’erogazione di denaro e se possibile qualche capo di vestiario”. Erano per lo più contadini e agricoltori, per la maggior parte della classe 1920, ma molti erano anche del ’21, del ’23 e del ’25.
Il libro al contempo si occupa anche della “Brescia repubblicana” e riporta alcuni articoli relativi ad Orzinuovi comparsi sul quotidiano fascista legato dal 7 novembre 1943 alla neonata Repubblica di Salò. Tra le curiosità la presenza di un giornalista cronista orceano, dottor Giulio Pavoni, direttore di un quotidiano fascista a Bergamo dal ’34 al ’43. Si parla di borsa nera e di un orceano arrestato per traffico di 10 kg di formaggio. Ma molte altre sono le notizie interessanti a cui si può attingere in questo libretto, nel quale, ripetiamo, sarebbe stato interessante leggere anche i nomi e i cognomi di riferimento. Le storie raccontate rivangano affetti, racconti di nonni ormai scomparsi. Riportano alle radici di un mondo che pare tanto lontano e inverosimile, ma che è qui, appena dietro le nostre spalle. Silvia Pasolini