Parlare di una malattia è compito arduo, ancor più quando, improvvisa e dolorosa, quest’ultima ha saputo colpire non una, ma ben due sorelle. Una storia, quella di Giulia ed Elisa, che anche per chi scrive è motivo di orgoglio, non tanto per un particolare affetto che mi lega a loro, ma soprattutto perché queste due coraggiose ragazze, supportate da una famiglia altrettanto eccezionale, si sono rese disponibili per mettere a nudo la durezza di una lotta con un nemico invisibile e duro a sconfiggersi.

Merito di Daniele e di Tiziana, rispettivamente papà e mamma delle “sorelle Botosso”, i quali, divenuti una sorta di profeti di speranza, credono fermamente che parlando, confrontandosi, scoprendo e tessendo una rete di relazioni si possa costruire il miglior argine al linfoma di Hodgkin, così come a tutte le neoplasie. «Questo genere di tumore ha visto tristemente lievitare negli ultimi anni la sua incidenza sulla popolazione più giovane: un rischio che, benché possa parere lontano, è in realtà quanto mai realistico – ha commentato Daniele – La prima delle mie figlie, Giulia, ha scoperto di esserne affetta a 22 anni, mentre Elisa, che ora ha la stessa età, cinque anni più giovane della sorella, sta ancora combattendo la sua battaglia». Tutto ebbe inizio nel dicembre di cinque anni fa, quando, dopo un lungo e travagliato percorso di diagnosi, è stato possibile emettere il verdetto: Giulia andava curata, e alla svelta. «Quasi da un giorno all’altro abbiamo iniziato a convivere con gli effetti della chemioterapia: un rimedio, sì, capace però al contempo di annichilire, di annullare, di spersonalizzare – continua Daniele – Dodici sessioni molto intense, che ben presto hanno fatto sì che Giulia perdesse i capelli e fosse costretta a vivere senza per diverso tempo, nonché provasse tutte le difficoltà legate all’uso di farmaci che distruggono». Infine, però, la luce. «Giulia rispondeva bene alla terapia: era riuscita, almeno in parte, a vincere: certo, non la guerra, ma almeno alcune delle più difficili battaglie contro la malattia – prosegue il padre – Per tutti noi, per la sua famiglia, è stata una grande lotta, che, però, abbiamo sempre voluto affrontare insieme. Sì, credo che sia questo il segreto: non esiste farmaco o cura tanto forte quanto sostenersi a vicenda, mostrarsi certi e speranzosi davanti all’incertezza e anche alla possibilità che il quadro potesse peggiorare. Insomma, senza mai perdersi d’animo, Giulia è riuscita, la nostra famiglia è riuscita a farcela». A cinque anni di distanza è stato impressionante confrontare la diagnosi di Elisa con quella di Giulia: sarebbe bastato cambiare il nome sulla cartella e avremmo ottenuto lo stesso risultato. L’incubo è tornato. «Tanta la paura, tanta l’apprensione, ovviamente, ma eravamo tutti certi di avere a che fare con qualcosa che già eravamo riusciti a sconfiggere – esordisce di nuovo Daniele – Si tornava allora a Bologna, per far sì che anche ad Elisa fosse asportato il tessuto ovarico da conservare fino a quando non fosse guarita, e si iniziava con un nuovo ciclo di dodici interminabili chemio». Oggi, sia Giulia che Elisa stanno bene, con un sorriso che sa di vittoria e di rivalsa, sincero e limpido, come i loro occhi, mai arresi davanti ad uno specchio che, al pari dei peggiori incubi, non faceva presagire niente di buono mentre palesava, giorno dopo giorno, tutta la difficoltà nel superare questo ostacolo. Oggi, sia che Giulia che Elisa, sono testimoni del fatto che, grazie allo straordinario impegno del personale sanitario e all’amore incondizionato di una famiglia unita e coraggiosa, anche nelle più buie tenebre esiste sempre una scintilla di luce, che nulla attende se non un grande cuore per essere accesa e per brillare come monito di coraggio. «Abbiamo lottato e alla fine ho vinto» commenta Elisa, «sarà una frase fatta ma io ci credo veramente: non perdete mai la speranza perché c’è quasi sempre una soluzione» scrive invece Giulia, ringraziando entrambe, oltre tutti coloro che le hanno sostenute, sopratutto il personale del reparto di Ematologia del Civile di Brescia.

Che sia attraverso un’associazione, una fondazione, una semplice opera di divulgazione, mai la storia delle “sorelle Botosso” dovrebbe essere dimenticata: a loro, a noi il compito di continuare ad alimentare questo faro di speranza, per noi, per tutti.

Leonardo Binda