Da sempre penso che “fare il dottore” sia un privilegio. Esercitare questa professione mi consente di fare del bene a chi, nel momento del bisogno, cerca aiuto, conforto o semplicemente una parola rassicurante.
Nel corso degli anni ho elaborato una sorta di proposito fisso: chiunque entri nel mio studio per sottoporsi ad una visita merita, prima di ogni cosa, la massima attenzione. Mi ricordo come se fossero state dette ieri le parole di un caro amico, anch’egli medico, che un giorno mi raccomandò dicendo “ricordati Alberto, nell’approccio ai pazienti, che prima di essere un Ortopedico sei un uomo”. Proprio in questo periodo la pratica chirurgica ortopedica sente su di sé una significativa pressione: le viene richiesto, con insistenza, di essere sempre più efficiente e produttiva, dedicando di conseguenza sempre meno tempo all’attività di consulto. Per il medico ciò comporta la necessità di limitare l’uso di valutazioni dettagliate, riducendo la sensibilità diagnostica. Per il paziente, al contempo, ciò ha ridotto il tempo dedicato ai colloqui e alla visita, con una spiccata insoddisfazione nei confronti della moderna relazione tra curato e curante.
In alcuni casi il colloquio e l’esame obiettivo sono stati soppiantati da una diagnostica mirata e dall’analisi delle radiografie o spesso, come mi dicono i pazienti, dalla sola “lettura del referto radiologico”.
Proprio la settimana scorsa ero in ritardo sulla tabella di marcia dell’ambulatorio e, malgrado ciò, cercavo di non venire meno al tempo da dedicare ai miei malati a costo di prolungare la seduta oltre l’orario consentito, esaminando tutti i punti fondamentali, dall’anamnesi della malattia all’analisi degli esami.
Bussa dunque alla porta Maria, una vivace settantenne, che per il modico ritardo palesava parecchia irritazione. Subito mi giustificai per i muniti di attesa fuori dallo studio. Le mie parole però non sembravano aver sortito l’effetto sperato. Durante tutta la visita, nonostante cercassi di essere chiaro e preciso, non mi riuscii a creare alcun feeling. Vista poi l’incapacità di attenzione della signora Maria e la non comprensione delle mie spiegazioni, presi coraggio e le chiesi se fossero presenti problemi contingenti che le impedivano di rapportarsi in modo proficuo. La sua risposta mi lasciò ammutolito: “devo andare a preparare il pranzo!”.
Dott. Albero Consoli