“Stechi nell’occhio del nemico”.
Con la disfatta di Agnadello del 1509, Venezia rinuncia alla politica espansionistica in terraferma per adottare la politica della neutralità armata.
Il nuovo corso ha come corollario la creazione di un sistema difensivo che aveva tre obiettivi: “proteggere i maggiori centri abitati, fornire dei ripari per gli eserciti della Repubblica nei momenti più tempestosi e scoraggiare eventuali progetti di invasione”.
L’impegno finanziario è enorme, tanto che la storiografia ufficiale della Repubblica lo paragona alle grandi imprese di organizzazione territoriale degli antichi Romani.
Per la difesa di Brescia, Orzinuovi viene trasformata in fortezza di sbarramento con importanti interventi a partire dal 1530 fino al 1602, data della costruzione del baluardo Donato. Orzi e Asola vengono definite per la loro funzione “stechi [fuscelli appuntiti, stuzzicadenti] nell’occhio del nemico”.
Vediamo alcuni aspetti di questa radicale trasformazione.
Le spese per la fortificazione: su chi gravavano.
Le spese della fortificazione erano ingenti; in genere venivano suddivise tra più soggetti.
Per quanto riguarda Orzinuovi erano così suddivise: un terzo a carico del governo centrale, cioè Venezia, e due terzi a carico del Territorio, organismo politico-amministrativo, ufficialmente riconosciuto da Venezia, “costituito dalle comunità della pianura a sud della città [Brescia], dalla Franciacorta e dal Pedemonte”.
Questa ripartizione è confermata da una ducale del doge Andrea Gritti al Capitano di Brescia del 26 aprile 1530: “quanto alla spesa che doverà essere fatta per conto della Signoria Nostra, videlicet [cioè] il terzo, che li dui tercij deveno essere fatti nel Territorio …”. Secondo la lettera del 28 aprile 1530 di Paolo Nani, “provisor generalis”, la contribuzione mensile era di 160 ducati.
Le spese addebitate al Territorio, venivano suddivise tra le varie comunità in proporzione al numero degli abitanti; Orzinuovi, come membro del Territorio, partecipava alle spese con una quota.
I materiali.
La fortificazione orceana era essenzialmente basata sull’impiego di mattoni, cementati tra loro dalla calce. I milioni di mattoni necessari erano forniti dalle fornaci.
Un documento ne ricorda alcune: la fornace di San Michele, un’”altra fornase”, quella della “pomera”, quella “del porton di sotto” e quella “che lavora apresso dita rocha”. Ai fornasari veniva fornita la terra per formare “quadrelli”; non sempre questa era adatta allo scopo. Al fornasaro Bartolomeo Oldigeri di Orzivecchi, della “fornase della pomera”, vengono contestati 140.000, mattoni dei 250.000 forniti, perché si sbriciolavano; questi si difende affermando che non si possono fare buoni mattoni con del “sabion … qual era tutto calcinazzo” preso dal fiume Oglio.
Nonostante la presenza di più fornaci la produzione di mattoni è carente rispetto alle necessità del cantiere; nel 1546 il Provveditore denuncia l’impossibilità di procedere nella costruzione per mancanza di mattoni: “non si attrovan solum tanti quadrelli che si metteranno in opera in zorni trei al più”. Nel 1561 il Capitano di Brescia informa di aver sequestrato mattoni per la fabbrica di Orzinuovi.
Come già accennato i mattoni venivano cementati tra loro con la calce o calcina; questa veniva presa “a Palazzuol et in altri loci, ma la mazor parte erano tolte da Cagion Vigo [Caionvico] et a Bottesin”.
Trasportata al cantiere come calce viva, veniva poi spenta nelle fosse, con l’aggiunta abbondante di acqua, per renderla adatta all’utilizzo (si bagnerà “copiosissimamente con acqua chiara che non sia fangosa”).
Altro materiale necessario al cantiere era il legname, inteso sia come legna da ardere per alimentare le fornaci, sia come legno utilizzato nell’allestimento di “andadore” [ponteggi] necessarie per la costruzione. Il trasporto dei mattoni, delle calcine e del legname rendeva necessario “aconzar” (adeguare) le strade per “carrette e carrettoni” utilizzati per il trasferimento; nel gennaio 1539 quarantatre vastatori (manovali, vedi ultra) sono adibiti a “conzar le strade per poter carezar et condur legne”.
La manodopera.
La trasformazione di Orzinuovi in fortezza implicava la costruzione di baluardi, la sistemazione delle cortine murarie e lo scavo delle fosse; questi interventi prevedono “l’esistenza di un cantiere complesso, la cui gestione è affidata a diverse figure professionali”; infatti “un’architettura fortificata è sempre opera collegiale che travalica la sola competenza dell’«ingegnero»” per estendersi agli artiglieri, agli esperti di balistica, di strategia, di tattica, etc.; all’ingegnero spettava il compito di attuare le richieste degli specialisti:
“dello ingegniero la cura e l’offizio è questo, che egli poi che il concetto, il pensiero, la risoluzione terminata del Prencipe detto averà appresa, curerà ponerla in dissegno e farla apparire avanti gli occhi suoi”.
C’era poi la manovalanza, distinta in operai specializzati (muratori, maestri del legname, ecc.) e operai generici, ossia i vastatori (o guastatori).
Questi erano addetti ai lavori più faticosi come scavare le fosse, trasportare la terra scavata usata per terrapianare, spegnere le calcine, accomodare le strade; era un lavoro “spavento-samente faticoso”, pagato per lo più in biave, cioè vino, formaggio o panni. Il Provveditore Balbi, nel 1546, ci informa della loro condizione: “dico di questi poveri bracenti, sì murari, come manuali che mai non toccano un soldo, et continuamente stanno ad ogni flagello, che è più le biasteme [bestemmie] che non sono le opere che fanno”. Quando venivano pagati in denaro si potevano seguire due modalità: paga a giornata oppure a ferlini, una specie di cottimo basato sul numero di zarletti (gerle) carichi di materiale che avevano portato durante il giorno; ad ogni portata veniva consegnato al vastatore un ferlino, cioè una marca di piombo.
I vastatori erano inviati dal Territorio e il loro numero era considerevole; nel 1537 i Rettori di Brescia ordinano al Territorio di precettare vastatori da inviare alla “fabrica delli Jorci Novi”: “faciate privision dello infrascritto numero di vastatori a ciascuno di voi assignati”. Le comunità del Territorio devono fornire complessivamente 422 guastatori. Oltre che estremamente faticoso, il lavoro dei vastatori poteva anche essere pericoloso: nel 1539 un certo numero di lavoranti finisce in ospedale “per essere cascati in la fossa del bastione di S. Michele per colpa di una andadora [ponteggio] qual si rompete per esser molto cargata de huomini”.
Gli strumenti del cantiere.
Bonaiuto Lorini nel suo trattato sulle fortificazioni ci ricorda gli strumenti in uso nei cantieri; afferma che la pala e la zappa sono gli strumenti principali per fare o disfare fortezze: “la qual pala insieme con la Zappa sono que’ due strumenti, che fanno, e disfanno la Fortezza, per non haver il maggiore, né più potente nemico”.
Anche il rastrello era importante: “spiana la terra nel fare i corsi del terrapieno … e cava le pietre, che vi fossero dentro”.
Per il trasporto del materiale nel cantiere si usavano vari strumenti: la conchetta, “ottima per portare calcina”; la barella, per “portare facilmente tutte le materie, sì per le strade piane come per li ponti [andadore, ponteggi] erti”; la carriola, “strumento più d’ogn’altro facile … camminando però in piano”; il carro, mosso “con la forza d’un cavallo, ò altro animale”; infine lo zarletto, “utile per portare sopra la schiena dell’huomo pietre, o terra co’l quale si fà opera grandissima”.
Per pressare la terra dei terrapieni si usava il pestone, per “pestare a suolo per suolo la terra … e vuole essere fatto di buon legname, e tanto grave [pesante], che comodamente venga alzato dalla mediocre forza d’un’uomo”.
Aspetti negativi della fortificazione.
A una ducale del 21 febbraio 1548 (1547 more veneto) indirizzata ai rettori di Brescia viene allegata la supplica inoltrata a Venezia dalla comunità orceana. Nella supplica gli abitanti di Orzinuovi si lamentano che il servizio di sorveglianza notturna del borgo, iniziato nel 1542 quando “per rispetto del fortificare” alcune zone erano rimaste pericolosamente indifese, rimanga a carico della comunità per un importo “di ducati cento in circa […] all’anno” e questo nonostante la presenza “di fanti cento” che aggravano le casse comunali per “più de ducati 300, a ragion de anno”.
Altro motivo di lagnanza è la sospensione, dovuta ai lavori di fortificazione, del mercato, che “era di tanta utilità”, perché rappresentava circa “un terzo del vitto loro [degli abitanti]”. Si dolgono inoltre della creazione, sempre “a causa di essa fortezza”, di “una spianata di mezo milio a torno a torno ad essa povera terra” che ha comportato una notevole diminuzione dei terreni coltivabili, oltre a quelli “che sonno occupati in far baluardi, allargar fosse, far spalti” con la distruzione “de tante vigne, arbori fruttiferi, di grandissimo danno” per gli abitanti.
Per motivi di sicurezza nella spianata attorno alle mura non avrebbero dovuto esserci case, capanni, alberi, arbusti, ecc. che avrebbero permesso a forze nemiche di nascondersi. (Ma già la ducale del 6 agosto 1557 a Pietro Zeno provveditore di Orzinuovi imponeva di osservare disposizioni precedenti “per esser ditte spianate dell’importantia che sono per la sicurtà di quel luogo”; imposizione ribadita nella ducale del 19 agosto 1562 che intimava “a tutti i rettori” di intervenire “sì che esse spianate vengono ad essere liberate et espedite sì de fabriche, come de alberi, terreni, et ogni altro impedimento che quomodocumque [in qualunque modo] potesse esser in quelle, acciò che in ogni caso non venghi a restar commodità all’inimico di potersi in quella nascondere”).
Altro motivo di malcontento erano i danni subiti dalle case prossime alle mura: “i casamenti ruinati di dentro via per allargare et ingrossare li terraglij”, senza aver avuto da parte di Venezia alcun risarcimento: “né mai ne sta’ dato suffragio, né restauro alcuno”.
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