Vi sono diverse modalità attraverso le quali noi riveliamo quello che siamo: il comportamento, le abitudini, i modi di fare, il modo di apparire. Alcune volte ne siamo consapevoli, altre volte agiamo senza un atto intenzionale; comunque sia, questo è un aspetto che caratterizza noi esseri umani. Oltre a questa modalità non verbale c’è però anche un altro aspetto che ci rende unici nel mondo degli esseri viventi ed è il linguaggio, che può svelare molto di come la persona pensa, sente, si relaziona con il mondo interno ed esterno. L’analisi linguistica di frasi, aggettivi, verbi, avverbi e in generale espressioni usati, può darci delle indicazioni importanti sulla percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri. E’ interessante osservare come le persone si autodefiniscono, come raccontano le loro storie, quali sono le sfumature narrative utilizzate; il parlare di chi ha una buona autostima, per esempio, offre uno scenario possibilista, di apertura verso il mondo esterno, di curiosità volta a capire, a comprendere come sono le cose. E’ orientato a vedere nelle difficoltà una sfida per poter trovare una soluzione, un modo per trovare il lato positivo, un’opportunità di cambiamento. Viceversa, chi soffre di bassa autostima utilizza un linguaggio al negativo, “disfattista” , di chiusura ad ogni possibilità di agire, in alcuni casi di astensione dal fare, dal raggiungere determinati obiettivi. Potremmo riassumere affermando che il linguaggio di chi ha una buona autostima è un linguaggio del “sì” mentre quello di chi ha una bassa autostima è un linguaggio del “no”. L’affermazione ha un effetto di libertà, di ampliamento degli orizzonti, una sensazione di distensione che si propaga verso l’esterno come le onde di un piccolo sasso gettato in uno stagno. La negazione, al contrario, restringe questo campo di possibilità, creando una sensazione di limitazione, di impedimento tale da bloccare ogni slancio evolutivo. Se è vero che dalla qualità dei nostri pensieri può dipendere il nostro humor e se è vero che molti dei pensieri che ci passano per la testa sono dialoghi interni, frasi, parole ripetute tra sé e sé allora ne deriva che il nostro stato emotivo può essere influenzato ed alimentato, positivamente o negativamente a seconda di come e di quali parole rivolgiamo a noi stessi. Per dare più concretezza a quello che stiamo dicendo provate a fare questo piccolo esperimento: chiudete gli occhi e ripetete dentro di voi tre volte la parola “Sì”; lasciate che il suono di questa sillaba si espanda in tutto il corpo e raccogliete le sensazioni che essa produce e annotatele. Una volta fatto datevi qualche minuto per passare alla seconda parola, il “NO”; fate la stessa cosa e successivamente raccogliete le sensazioni annotandole. Potremmo ampliare l’esercizio anche prendendo in considerazione l’effetto di alcuni verbi come “osare”, “potere”, “permettere”, “riuscire”, “esplorare” rispetto a “esitare”, “rinunciare”, “astenersi”, “evitare”, oppure di aggettivi con valenza o positiva o negativa. Quale differenza notate? Avete osservato l’effetto diverso a livello di sensazioni, percezioni fisiche che la parola può avere? Questo semplice esercizio ci può aiutare a riflettere sull’importanza del linguaggio che utilizziamo sia nei confronti degli altri che di noi stessi ed in particolare sul potere emotivo incentivante o deprimente che hanno le parole e la loro utilità nell’accrescere la propria autostima. Un’attenzione e una cura nell’uso sapiente del linguaggio possono fare la differenza nella qualità delle relazioni che andiamo a intessere e a costruire; possono cioè essere un farmaco per alimentare in noi e negli altri salute e benessere. Una verità che gli antichi filosofi greci già possedevano! “La parola è un farmaco per i mali umani” (filosofo greco).
Dott. Ettore Botti
Specialista dell’Equipe psico-pedagogica del Centro per la famiglia