Lo stemma civico di Montichiari che rinveniamo, per esempio, anche nel timpano della facciata del Duomo o addirittura utilizzato in maniera non proprio ortodossa in ambito commerciale, associativo ed economico ha ricevuto il riconoscimento ufficiale giusto un secolo fa, nel 1922, grazie al decreto firmato dall’allora presidente del Consiglio Luigi Facta. Per giungere a questo risultato occorsero però ben due anni, come ricorda lo storico Virgilio Tisi che in una sua pubblicazione accenna al grande impegno profuso dall’allora Commissario prefettizio Giuseppe Mazzoldi, appassionato di ricerche e di storia locale, per la costituzione di un Comitato civico del quale fecero parte le insegnanti del paese oltre alle signore più in vista ai tempi. A presiederlo fu Erminia Pastelli Zamboni e successivamente Lucia Quaranta, sorella del primo parroco mitrato di Montichiari Giovanni, che resse la comunità cittadina dal 1912 al 1949. A contribuire economicamente per ottenere il riconoscimento e la realizzazione del gonfalone, obiettivo del Comitato stesso, furono anche i piccoli alunni di uno degli asili più noti in città, il “Mafalda”, nato grazie alla munifica donazione del futuro sindaco Gianantonio Poli. L’assenza di ufficialità e ancor più la mancanza di un gonfalone che identificasse il paese venivano considerate delle gravi lacune dal Mazzoldi che ponevano, a suo dire, Montichiari “al disotto di altri confratelli minori, e che le altre amministrazioni passate non hanno mai pensato a formare”. Mancava insomma un elemento che richiamasse il Comune “coi sei monti verdi e in alto il simbolo della Fede, dalla quale trasse il suo motto che lo stemma illustra in richiamo di passate virtù”. Il riferimento è alla celebre espressione “Montibus in claris semper vivida fides” che però alcuni storici ritengono debba collegarsi più alla fedeltà di Montichiari nei confronti della Serenissima (o verso Brescia per altri) che non alla fede religiosa. Nonostante l’impegno dei monteclarensi, dal Governo e in particolare dall’ufficio della Consulta Araldica deputata allo scopo non giunsero in un primo momento notizie incoraggianti poiché nessuna informazione poteva essere fornita circa lo stemma e si invitava pertanto il Comune a recuperare esso stesso prove sul suo uso nel tempo, senza però ottenere anche in questo caso alcun risultato. Ciò non recava disagio alla volontà di procedere con la delibera ufficiale per mezzo della quale in ogni caso da Montichiari si inoltrava alla Consulta formale richiesta di ottenimento del riconoscimento ufficiale dello stemma, riconoscimento che venne attribuito solo nel marzo 1922. Nel decreto si dichiarava spettare al Comune di Montichiari “il diritto di fare uso dello stemma civico miniato nel foglio (…) che è d’azzurro a sei monti (1,2,3) cuciti, di verde, il superiore carico della croce latina d’argento. Lo scudo sarà fregiato della corona di Comune. Dovere il detto Comune essere iscritto nel libro Araldico degli enti morali”. Quel primo gonfalone fa bella mostra di sé al secondo piano del Municipio nell’ufficio da poco tempo ribattezzato “Sala Giunta Peppino Boifava”. Venne usato fino al 1994 quando, a seguito della titolazione di “città”, fu definitivamente accantonato. L’attuale reca lo stemma del Comune con i sei colli e la croce in campo rosso (e non più blu) e con la corona turrita anziché quella merlata. Un secolo dopo dall’avvio di questa vicenda tanti fatti si sono avvicendati senza però troppo cambiare quello che, per usare la nota espressione comparsa nel 1917 in un Diario – Guida della Città e Provincia di Brescia, resta sotto molti aspetti ancora “l’antico e grosso borgo che dir potrebbesi città”.
Federico Migliorati