Ci eravamo lasciati nella prima puntata con un “viaggio” nell’elenco degli abbonati al telefono di metà anni Sessanta, un percorso che ha consentito di scoprire un altro volto di Montichiari, tra mestieri ormai caduti in disuso, odonimi scomparsi e sostituiti, edifici e negozi che hanno subito cambiamenti anche sostanziali. 

Mancavano, però, le voci dei protagonisti di quell’epopea del ‘centralino telefonico’ che fu, fino alla fine del 1966, imprescindibile intermediario tra i possessori di un apparecchio e ancor più strumento fondamentale per quanti ne erano sprovvisti e necessitavano di comunicare. Non abbiamo documenti, purtroppo, che certifichino l’anno di inizio attività: certo è che a partire dal  1950, prima del quale nulla ad oggi si sa, a gestire il meccanismo di spinotti e chiamate fu Piera Botturi, classe 1935, che ricorda con entusiasmo e un pizzico di nostalgia quel periodo, invero breve, di 6 anni passati nel modesto locale di via Trieste, accanto all’edicola Vescovi e alla rivendita di biglietti del tram e dell’Apam.  

“Quando ho preso servizio – dichiara a Paese Mio – gli abbonati al telefono erano pochissimi, solo 45, numero destinato a crescere in breve tempo tanto che quando lasciai il lavoro erano già saliti a 110.

Come mi trovavo? Molto bene anche se i turni erano intensi specie all’inizio essendovi un solo centralino poi, viste le necessità, ne venne posizionato un secondo e anche le cabine a uso dei clienti, all’ingresso, passarono da una a due”.

A gestire il servizio era la Stipel, la società telefonica interregionale per il Piemonte e la Lombardia con sede a Torino, una delle diverse realtà che sul territorio nazionale si dividevano le zone di influenza prima che le telecomunicazioni passassero sotto l’ombrello unico della Sip a partire dal 1964.  

Titolare reggente del centralino monteclarense era Palma Scovolo, una signora di nobili origini, dipinta come inflessibile e severa nel suo lavoro e che per diversi anni abitò nel quartiere Gaifami Treccani. Intorno al 1953 la rete telefonica si allarga e arriva nelle frazioni: anche gli agricoltori ormai abbisognavano di comunicare e questo comportò un investimento importante per la Stipel. 

Chi voleva chiamare un abbonato alzava il proprio apparecchio a manovella e veniva collegato col centralino dove l’operatore, rigorosamente di sesso femminile, prendeva la chiamata e provvedeva, inserendo lo spinotto in uno degli ingressi corrispondente al numero della persona che si cercava, a metterlo in contatto con il destinatario. Per quanti invece si trovavano privi di telefono non restava che recarsi al centralino, entrare in cabina ed essere collegati con il numero desiderato, beninteso pagando la corrispondente ‘tassa’. 

C’erano poi i cosiddetti ‘avvisi di chiamata’ laddove l’utente non fosse rintracciabile: ecco allora che subentrava una sorta di fattorino, impegnato a correre in su e in giù per il paese per consegnare il foglio giallo con le specifiche dell’ora della chiamata indicante che si era stati cercati senza successo.  

A operare in queste vesti fu per alcuni anni Giuseppe Bertasi, più noto come l’artigiano dei presepi per la sua grande passione ormai cinquantennale e che lo ha reso famoso in tutto il bresciano. 

“Quando c’era bisogno inforcavo la mia bicicletta e mi spostavo per le vie – ci confessa l’ottantatreenne – anche se la mia zona non era molto ampia, arrivavo in genere fino all’ex Fiat, nei pressi della rotonda dello stadio Menti. Le frazioni? No, non me ne occupavo io, ma allora erano ancora pochi gli abbonati fuori dal centro”.

Al centralino fino al 1952 e per qualche periodo anche successivamente fu in servizio Emma Uggeri, mamma del noto direttore d’orchestra Umberto Benedetti Michelangeli, che si occupava di sostituire Botturi e Scovolo durante le ore pasti consentendo loro di rientrare nelle abitazioni per la meritata pausa di mezzogiorno. 

“Ho sempre amato la mia professione – ricorda ancora la Botturi – ma le esigenze di una famiglia numerosa non mi consentirono di continuare e così dovetti lasciare definitivamente e a malincuore nel 1956. Da allora non ho più voluto entrare in quel locale dov’era il centralino e ancora oggi, quando passo lungo la via, cerco di non pensarci: provo una forte commozione per quegli anni passati a smistare telefonate, non sentivo la fatica ed era sempre un piacere svolgere quanto mi veniva richiesto nonostante i magri compensi che ci spettavano”.

Quei tempi li ricorda bene anche Paola Bressanelli, figlia di Giovanbattista, primo sindaco del dopoguerra eletto direttamente dal consiglio comunale, che al centralino restò dal 1957, appena ventenne, fino alla sua cessazione definitiva, per quasi 10 anni. Come si vede dalla foto possiede ancora il libretto del lavoro che veniva timbrato ogni anno dalla titolare: stando alle cifre indicate veniva versato un importo che nel primo periodo dall’assun-zione si aggirava intorno alle 32 mila lire del tempo. Negli anni Sessanta le necessità di comunicare si fanno massicce, si ampliano le linee (come anticipato nel numero scorso nel 1964 si arriva a 293 abbonati) e di conseguenza anche il personale del centralino vede un aumento di unità in organico toccando le cinque persone che si alternavano dalle 7 alle 22 con un ritmo talvolta frenetico: come sappiamo Montichiari erano sprovvisto, a differenza dei comuni limitrofi, dei cosiddetti ‘notturnisti’ con la conseguenza che le chiamate fuori dagli orari di servizio potevano essere effettuate solo ricorrendo alla caserma dei carabinieri o della polizia, come lamenta il giornalista Giuseppe Beltrami in un articolo sul Giornale di Brescia dell’epoca nel quale stigmatizzava anche il ‘ritardo’ nell’introduzione della automatizzazione dei telefoni in paese. “Se ricordo qualche telefonata particolare? Certamente – afferma Bressanelli che ricorda come spesso le telefoniste dovevano inserirsi nella chiamata per capire se fosse ancora attiva potendo così casualmente cogliere stralci di conversazioni  – ma non posso ovviamente fare nomi. Quelle più curiose erano le storie di relazioni extraconiugali: quando incontravo poi fuori dal centralino il tal marito o la tal moglie, che si sperticavano in elogi sulla fedeltà del consorte fedifrago, non potevo trattenere un sorriso…”: le leggi sulla tutela della privacy, come si vede, erano ancora molto lontane. 

Con la chiusura del centralino si rende necessario per le operatrici una scelta radicale, come accade anche per lei: o licenziarsi o venire trasferita a Milano, presso una delle sedi centrali della Sip. Per Bressanelli non c’è storia: preferisce non staccarsi dalla sua Montichiari e opta per un impiego presso la Banca San Paolo dove per diversi anni lavorò anche il consorte Carlo. Nel frattempo i telefoni diventano finalmente automatici e così il servizio in attività nel locale di via Trieste viene definitivamente soppresso: la saracinesca si abbassa e non si alzerà più. 

La nebbia dell’oblìo che lo aveva nascosto viene diradata solo dal ricordo vivido di quanti, come Piera, Giuseppe e Paola, a esso dedicarono gli anni più belli della loro gioventù consentendoci con le loro voci di ricostruire a grandi linee un frammento di storia della città.

Federico Migliorati

(Nel prossimo numero la terza e ultima puntata)