Se davvero si volesse scrivere un romanzo sulla vita di Gaetano Bonoris non mancherebbero certo gli elementi e gli spunti adatti: sì, perché la storia che ha contraddistinto il conte di casa nostra, dai sogni di grandezza e dall’innato spirito di solidarietà, è pienamente degna di un libro. Realtà? Fantasia? Quale che sia la chiave di lettura che si voglia dare non si può mancare di visitare la mostra “Il sogno del Medioevo. Gaetano Bonoris e il castello di Montichiari” che dallo scorso 15 aprile e fino al 24 settembre al Museo Lechi apre uno scrigno di bellezza e di rarità, tra documenti inediti, acquerelli del Rollini, progetti iniziali dell’erezione del maniero mai portati a termine e persino uno straordinario servizio da thè e caffè realizzato dal Morel e giunto chissà come al Bonoris. C’è di che lustrarsi gli occhi passando in rassegna i pezzi esposti nelle sale al piano terra, un insieme di meraviglie che fanno piena (e nuova) luce su un personaggio dal carattere indecifrabile, un dandy benefattore, un protagonista novecentesco che ha voluto ricreare nel cuore della Bassa bresciana un angolo di Medioevo a sua immagine e somiglianza. Il grande lavoro profuso da oltre un anno da Paolo Boifava, direttore di Montichiari Musei, insieme a un gruppo di lavoro coeso ed esperto come Irene Giustina, Renata Massa e Debora Piroli e con la collaborazione fondamentale a più livelli di Fondazione Bonoris e Fondazione Ugo da Como ha prodotto un nutrito programma di iniziative che, partendo dalla mostra summenzionata, si allarga a visite-conferenze come quella in Archivio di Stato a Brescia (ente che pure ha garantito un aiuto prezioso), convegni, visite guidate e un catalogo della Grafo che condensa e fissa una volta per sempre ricerche e studi rivelatori. E proprio spulciando le pagine del catalogo rinveniamo numerose curiosità interessanti sul conte: il fedele collaboratore delle sue proprietà in vita, Bindo Azzali, lo descrive come “uomo di eccezionale dirittura, ed ottimo amministratore. Prendeva viva parte alla trattazione dei propri affari. Versato nelle discipline economiche finanziarie, conosceva quattro lingue; viaggiò in tutta Europa: dimorò all’estero, specie in Francia, Svizzera e Germania. Amava e si dilettava di architettura e di costruzioni”. E proprio per queste conoscenze finì per scontrarsi con l’architetto Antonio Tagliaferri, primo progettista del castello, “silurato” in favore del più “malleabile”Carlo Melchiotti a cui venne affidata però la sola direzione d’opera. “Bonoris fu –per usare le parole azzeccate dell’archivista Giuseppe Merlo il quale ne ha richiamato la scelta di distruggere alla morte tutto il suo archivio privato – un uomo che volle lasciare di sé il ricordo di un falso Medioevo e di una grande bontà”. Ancora Boifava nel catalogo sottolinea l’importanza del cantiere decorativo del maniero predisposto dal Rollini: grazie alla donazione effettuata nel 2004 da Angelo Chiarini al Comune di Montichiari di un gruppo di 56 fogli disegnati a penna con campiture ad acquerello e tempera, è possibile studiare le varie fasi dell’intervento all’interno e in parte all’esterno del maniero. “Il castello di Montichiari – leggiamo nel testo introduttivo del docente universitario Valerio Terraroli – mantiene intatto il suo fascino, corroborato dalle vicende biografiche e anche leggendarie del suocommittente, ma esso è anche la preziosa testimonianza di una fase importantedella storia del gusto e dell’architettura “in stile”, come la residenza Crespi a Crespi d’Adda e il castello Mackenzie a Genova, che precede e innerva il passaggio alla modernità”. Conviene davvero, allora, non perdere un singolo appuntamento dei tanti programmati da Montichiari Musei in questo anno che celebra il centenario della morte del Bonoris e, con esso, un periodo di storia e cultura locale dal fascino eterno. L’intero calendario è consultabile sui siti www.montichiarimusei.it o www.montichiari.it.
Federico Migliorati