È una donna tosta Moira Treccani, una che la malattia l’ha guardata dritta negli occhi fin da ragazza supportando la madre Franca Borghetti, per lunghi anni malata di Sla, senza mai perdersi d’animo. E non si perde d’animo nemmeno ora che la vita le ha posto davanti una nuova, durissima sfida. Vistasi diagnosticare un carcinoma maligno alla lingua qualche mese fa, infatti, Moira ha dovuto accettare una nuova condizione: quella di disfagica ma non si è data per vinta e anzi ha deciso di affrontare la sua nuova condizione con grande forza, cercando di sensibilizzare anche attraverso i social su di una condizione con la quale si trovano a convivere quotidianamente molte più persone di quanto si possa pensare. «A dicembre vado dall’otorino per una vescica che non guarisce – racconta – Lui mi guarda e mi dice che si tratta di un carcinoma. Resto impassibile, senza capire cosa mi stia accadendo. Mi sottopongono in breve a biopsia, tac, risonanza (per la Pet non c’è tempo) e mi viene confermata la terribile diagnosi: carcinoma squamoso invasivo al terzo stadio con metastasi ai linfonodi bilaterali della gola. Il 20 gennaio scorso mi sottopongono all’operazione presso gli Spedali Civili di Brescia: un intervento demolitivo e ricostruttivo che dura 12 ore. Mi opera il Professor Piazza, uno dei luminari migliori per la bocca che deve asportare gran parte della lingua poi ricostruita con un lembo di dorsale. Mi sveglio la mattina successiva con la tracheotomia e mi viene impiantata una digiunostomia per potermi alimentare in modo alternativo mentre la nuova lingua attecchisce. Resto in ospedale per 36 giorni e mi devo poi sottoporre a radio e chemio, oltre che a sedute di logopedia per rimparare a parlare. Da qualche tempo, ho tolto la digiunostomia ma fatico a muovere la lingua e posso mangiare solo cibi frullati o solidi di poca consistenza come, ad esempio, il filetto di sogliola. Da mia mamma e mio papà ho imparato a non arrendermi, a lottare sempre, ma spesso la lotta non basta: è necessario che la società stessa possa cambiare. Io, infatti, mi sentirei pronta per andare al ristorante con la mia famiglia, anche per un senso di normalità riconquistata, ma l’inadeguatezza dei ristoranti davanti alla richiesta di poter frullare le pietanze è a mio avviso allarmante. La maggior parte dei ristoratori ti rispondono che non hanno il frullatore, che non possono esaudire le tue richieste e, alla fine, ti tocca desistere, restare a casa. Ogni volta che vogliamo uscire il mio pensiero è lo stesso: in quel locale mio marito e i miei figli mangiano quello che vogliono ma io che faccio? Ci sarà qualcosa in menù anche per me? Una tristezza infinita. Mi chiedo: perché nel 2024 si devono isolare i disfalgici? O vergognarci di loro? Io ho accettato la mia condizione, sono membro di un gruppo che si chiama “Disfa e mangia” dove può aderire anche chi non è disfalgico per consigli, supporti e condivisioni e sono tornata alla mia vecchia vita o quasi ma migliorare il futuro non è in discussione. Dove vorrei arrivare con questa mia campagna di sensibilizzazione? A far sì che quando si vede qualcuno che fatica a mangiare non si debba per forza giudicarlo o a guardarlo schifati. Magari a creare un elenco di ristoratori che siano disposti a proporre in menù anche ricette per disfagici che possono essere ottimi clienti come tutti gli altri e che non devono essere costretti a mangiare sempre e solo passato di verdura. Tornerò a mangiare mai cibi solidi? Non lo so. Quello che so è che continuerò a lottare come mi ha insegnato mia mamma e che non mi arrenderò davanti alle difficoltà, perché talvolta è solo la visione delle cose che ci limita. Per migliorare il mondo basta cambiare prospettiva».

Marzia Borzi