La “Dama Bianca” era uno dei pezzi più attesi della mostra dal titolo “Rinascimento a Brescia. Moretto, Romanino, Savoldo” che ha visti esposti alcuni dipinti giunti da musei americani e da importanti collezioni italiane ed europee. Il ritorno in Italia dello straordinario dipinto del Moretto, conservato nella National Gallery di Washington, era atteso a Brescia perché dopo ben 250 anni la bellissima giovane immortalata sulla tela avrebbe ritrovato quello che ormai è riconosciuto come il suo sposo e la sua identità: quella di Eleonora Gonzaga di Sabbioneta. L’idea che la Dama Bianca sia proprio la sposa di Gerolamo Martinengo Signore di Padernello, il cui ritratto è conservato nel Museo Lechi di Montichiari, nasce dall’intuizione dello storico dell’Arte Paolo Boifava che ha analizzato con grande perizia entrambi i dipinti e soprattutto ne ha ricostruito per quanto possibile il percorso collezionistico. «Purtroppo che quello della cosiddetta “Dama in bianco” sia il dipinto di Eleonora Gonzaga di Sabbioneta al momento resta un’ipotesi che si basa esclusivamente su una questione stilistica e di intuito – racconta Boifava – Non ci sono documenti che lo attestino con certezza ma spero di trovarli in futuro in un archivio privato che devo ancora visitare. In sostanza dopo aver intuito che il ritratto di Gerolamo (vista la ricchezza di abito e gioielli) era un “ritratto matrimoniale”, ho immaginato che doveva essere stato concepito in coppia con quello della moglie. Tra i pochi ritratti femminili noti realizzati da Moretto, quello di Washington mi è parso subito il più probabile per confermare l’ipotesi che ho dedotto su alcuni elementi indiziari che, seppur deboli, non vanno sottovalutati. Nella sbalorditiva descrizione lasciataci da Gerolamo Contarini, testimone oculare dell’evento matrimoniale accaduto nel 1543, infatti, colpisce una singolare coincidenza con il ritratto della Dama Bianca: Contarini racconta come “Donna Leonora”, accompagnata da un corteo nuziale di cavalieri numeroso come un esercito, entrò nella città tra il generale stupore, indossando proprio un lungo abito di raso bianco e una collana d’oro al collo. Bianco era il suo cavallo e bianche le livree dei trenta gentiluomini che la accolsero. Un colore dunque caro alla sposa e alla logica del cerimoniale, seppure il bianco non fosse ancora d’uso comune nelle celebrazioni nuziali e assai rari sono i ritratti di spose con abiti bianchi nella prima metà del XVI secolo. Un ulteriore e suggestivo elemento probatorio circa il riconoscimento della nostra misteriosa dama con Eleonora Gonzaga si concretizza, in questa imperdibile occasione, dal suo confronto vis-à-vis con il coevo ritratto di Gerolamo Martinengo. Nonostante il tempo abbia infierito sulla tela del museo Lechi con un impoverimento cromatico e la riduzione delle dimensioni originarie, forse avvenuta a causa delle cattive condizioni o di un danneggiamento durante la Seconda Guerra Mondiale quando il palazzo Salvadego-Martinengo in via Dante a Brescia venne colpito dalle bombe, è innegabile che la giustapposizione delle due figure produca nell’insieme una sensazione di completamento favorita dall’eguale proporzione dei corpi, dal loro dialogo compositivo e dall’identica e speculare inclinazione dei volti. Innescando così la probabilità che entrambe le opere siano nate da un’unica commissione al pittore bresciano in memoria del grande matrimonio, compiute dall’artista entro la prematura morte di Eleonora nell’agosto 1545».
Marzia Borzi