Fino pressappoco agli anni ’60 i bambini nascevano in casa, nel letto matrimoniale e di solito la domenica successiva veniva celebrato il battesimo, con una semplice cerimonia religiosa e un pranzo in casa con il padrino o la madrina. All’inizio delle doglie della partoriente, toccava al marito andare a chiamare la “comàr” o levatrice che dir si voglia (capace di levare il neonato dal corpo della donna) a qualsiasi ora del giorno e della notte, di solito a piedi o in bicicletta. Solo quando c’erano gravi complicazioni per la mamma o per il nascituro si chiamava il medico. La levatrice era quasi parte della famiglia e poiché aiutava a dare la vita, era una persona che godeva di grande prestigio, autorevolezza e rispetto, sia durante la gravidanza che al momento del parto, quando arrivava in fretta, in bicicletta, a piedi o col biroccio, sia in paese che nelle cascine sperdute in campagna, con la sua borsa piena di scatoline in metallo con siringhe di vetro da sterilizzare con la bollitura, alcool, cotone e strumenti per il parto. Importantissima era l’igiene, perciò si faceva bollire tanta acqua per pulire bene partoriente e neonato, che poi veniva fasciato dal collo ai piedi con una striscia di cotone bianco alta 15 cm e molto lunga. Anche se negli anni le levatricisconsigliavano questa pratica, mamme e suocere delle giovani mamme erano convinte che fosse indispensabile per mantenere dritta la schiena e le gambe. Al parto non potevano assistere i maschi, padre compreso, erano”cose di donne”. Alle neo mamme nei giorni successivi al parto si consigliava buon brodo di gallina e latte per riprendersi ed avere abbondante latte per il neonato.Purtroppo molte donne lavoravano fino agli ultimi giorni prima del parto, perché si pensava che il bambino sarebbe nato forte e sano e in molti casi non potevano poi riposarsi un tempo sufficienteper recuperare appieno le forze. Le esigenze familiari le obbligavano a ritornare presto ai loro lavori di casa e spesso anche ai lavori pesanti nei campi e in stalla, oltre a seguire i figli, dall’ultimo arrivato ai più grandicelli. Le mamme che avevano la fortuna di avere tanto latte prolungavano l’allattamento il più a lungo possibile ed erano richieste anche come “mamme di latte”, allattando direttamente anche il neonato di un’altra mamma senza latte. In certi casi invece, ai bimbi più delicati si dava latte d’asina, il più simile a quello materno. Oggi in Italia circa un migliaio di bambini nascono ancora a casa, perché si sta rivalutando la riservatezza, la naturalità del parto, che in ospedale diventa troppo medicalizzato, velocizzato e a volte affrontato con poco rispetto per un evento così importante e delicato per le donne. Da anni le levatrici si chiamano ostetriche, conseguono una laurea, hanno competenze in campo ostetrico-ginecologico e neonatale, possono lavorare in consultori pubblici e privati, fare esami, visite in gravidanza, tenere corsi di accompagnamento al parto e sostegno post parto. Tuttavia, come scriveva anni fa la comàr Cleonice Alboini, lavorando in ospedale si attenuò quel contatto umano, quel calore e quelle avventure che caratterizzavano il suo lavoro, pur nelle difficoltà. L’evento della nascita rimane infatti il mistero più grande e meraviglioso della natura, che dovrebbe poter essere vissuto in un ambiente sicuro ma accogliente.
Ornella Olfi