All’interno del Castello Bonoris, poggiata su di una sedia in camera da letto, è da poco tempo comparsa anche la famosa « bursa de Bonoris», quella che da decenni ormai è entrata nell’imma-ginario dei modi di dire non solo monteclarensi ma più in generale bresciani.
È tipico del comune modo di intercalare locale, infatti, esclamare: «Ghè ölares la bursa de Bonoris!» cioè «ci vorrebbero le ricchezze di Bonoris» oppure «Ghò mìa la bursa de Bonoris» per sottolineare il non disporre di beni infiniti, il non poter pagare prezzi esorbitanti.
Il detto deriva dalle enormi ricchezze del Conte, così cospicue che il fondo della borsa si racconta non fosse mai visibile. Gaetano Bonoris aveva ottenuto una favolosa eredità dal padre Achille, banchiere e ricchissimo commer-ciante e l’aveva poi saputa accrescere ancora di più, mettendo insieme un patrimonio veramente eccezionale.
Tutti i Bonoris erano abili finanzieri, molto avveduti nella gestione del proprio patrimonio ed estremamente intraprendenti in campo economico ed amministrativo. Il mito della borsa nacque dopo la morte del conte Gaetano.
Questo infatti lasciò il castello al nipote Ercole Soncini, allora quattordicenne, ma il resto del patrimonio andò alla Congrega della Carità Apostolica di Brescia.
Tra le leggende che ruotano intorno al Conte e alla sua fortuna, si racconta l’aned-doto degli eredi che, trovata la chiave della sua cassaforte ma impossibilitati ad aprirla perché non in possesso della combinazione, dovettero chiamare un abile fabbro per venire a capo del complesso marchingegno.
Furono ricompensati però dal contenuto: denaro, gioielli e monete d’oro.
Ultimato l’inventario dei beni, il rappresentante dell’ente benefico a cui il tutto era destinato dovette usare veramente una grossa borsa per trasportare la considerevole quantità di sterline d’oro che il conte possedeva e si dovette recare alla Banca d’Italia di Milano perché né la banca di Montichiari né quella di Brescia possedevano denaro a sufficienza per trasformare l’oro in denaro contante. Le congreghe di Brescia e Mantova, alle quali l’eredità venne elargita, ebbero l’obbligo su testamento del Conte di impegnarsi nella protezione dei minori e dei giovani privi di famiglia, disabili e ammalati. Ancora oggi la Fondazione Bonoris opera secondo gli intendimenti voluti dal suo benefattore promuovendo e sussidiando istituti, enti e organizzazioni varie.
Marzia Borzi