La nostra bella e forte scuola, sempre in movimento, deflagrata di punto in bianco in una costellazione di pixel, sparsi sul territorio a provare a illuminare questo terribile momento di buio.
Uno spettrale scherzo di carnevale lungo una quaresima infinita ha blindato in casa duemila volontà di apprendere e insegnare imparando. Troncata di colpo la vitalizzante, proteiforme attività educante del Progetto DADA dentro queste mura che vedo solo nel ricordo di una foto stinta dal sole.
Addio ai canti danteschi, alla guerra dei trent’anni, al corpo a corpo col gobbo di Recanati, niente più unità didattiche di apprendimento, saltano gite, uscite, progetti, propositi e verifiche.
Loro, i ragazzi, sono là, oltre uno schermo invalicabile, affamati di sapere, assetati di vita, coi loro volti emaciati da flebili connessioni messe insieme da abilità spesso apprese sul campo, dalla sera alla mattina, per attrezzarsi a questa dura prova che la realtà ha squadernato loro di sorpresa: la DAD, didattica a distanza, siderale.
Resto desolato ma fermo nel proposito di continuare in ciò che era e resta giusto, armato della buona volontà di resistere.
E mi tengo la voglia di salire sulla cattedra, vagabondare fra i banchi, rivederne vivi i sorrisi, sentirne suadenti le voci, ascoltarne con calma i pensieri, cullato dal rumore del tempo che passa dalla porta della classe e s’invola.
Quando ripartirà, cadenzata dalla campanella, la transumanza allegra e scanzonata delle classi che migrano di aula in aula alla ricerca di sempre nuovo cibo per la mente? E loro, cosa staranno imparando davvero da questa tragedia? Come rinasceranno al mondo quando ne saremo fuori? Sapranno sortirne più umani, diverranno più egoisti o, peggio ancora, indifferenti? Sarà palingenesi o barbarie? Le risposte non cadranno nel vento.
Soffiano sui volti stremati e solerti delle migliaia di infermieri, medici e ricercatori che in queste ore stanno lottando con amore e intelligenza per fermare il contagio e liberarci da questo male.
Flavio Marcolini