Qualcuno li chiama “Generazione Z”: sono i giovani nati tra il 1997 e il 2012, i cosiddetti “Nativi Digitali”, quelli che ricercano una professione più legata alle loro passioni che un salario alto o ad un posto fisso e che perseguono con grande caparbietà tutte le azioni che li portino a realizzare i propri sogni. Damiano Berlato, monteclarense, classe 2000, residente nella frazione Novagli, è uno di loro e della propria generazione sembra rispecchiare tutte le caratteristiche, tanto da essersi impegnato con grande forza per raggiungere quello che da sempre è il suo obiettivo: diventare archeologo. Damiano, infatti, frequenta l’ultimo anno della triennale di Beni Culturali Archeologia presso l’Università di Verona, è il più giovane archeologo monteclarense e ha già preso parte a diverse campagne di scavo. Per una di queste, a Tarquinia, sta anche promuovendo personalmente una campagna di profunding. «Da piccolo ho sempre avuto la passione per l’archeologia – racconta – Questo grande amore l’ho ereditato dai miei genitori che hanno sempre letto molti romanzi, riviste storiche e guardato molti programmi culturali. Già alla scuola Primaria è nato in me il sogno di diventare un archeologo: Piero ed Alberto Angela, Alessandro Barbero sono stati gli idoli della mia infanzia. Successivamente mi sono iscritto all’Istituto di Agraria di Remedello dove ho conseguito il diploma di maturità. Essere diplomato in agraria e conoscere da vicino le conformazioni del terreno mi ha molto facilitato quando ho intrapreso i laboratori pratici di archeologia nei vari scavi perché mi ha aiutato nell’analisi stratigrafica del terreno. In questo momento sono all’ultimo esame della triennale in Archeologia ma già da due anni sto scavando a Tarquinia, coordinato dal professor Attilio Mastrocinque e dalla responsabile dello scavo Fiammetta Soriano. Lo scavo a Tarquinia ha preso il via grazie alla scoperta di una statua di Mitra sul furgone di un tombarolo e successivamente di altri parti del gruppo marmoreo nella zona dove il soggetto aveva compiuto l’attività illegale. Siamo tra i 20 e i 30 studenti: scaviamo, laviamo e controlliamo i materiali che vengono trovati ma facciamo anche prospezioni con un magnetometro che ci carichiamo a spalle e che utilizziamo per cercare di scoprire cosa ci sia nel sottosuolo. La cosa più emozionante per me è stato trovare il muro di un edificio, pensare che quei mattoni avessero attraversato il tempo e ci fossero riconsegnati perché raccontassimo la loro storia. Nonostante la consapevolezza delle tantissime difficoltà che mi troverò ad affrontare per poter svolgere l’attività di archeologo, non ho nessuna intenzione di rinunciare al mio sogno e mi impegnerò al massimo per farne una vera professione. Per questo mi sto interessando anche all’archeologia pubblica cioè a quella disciplina che si occupa di spiegare alle persone il risultato concreto delle ricerche, di prendere gli elementi complicati degli studi e renderli semplici, di coinvolgere attivamente la gente. Ho aperto un canale Instagram e Tik Tok che si chiama “Archeologia Pubblica” dove spiego in modo semplice attività e curiosità della professione archeologica. Mi sto muovendo anche con una campagna di profunding a supporto dello scavo di Tarquinia, cioè con una promozione dell’attività che possa portare fondi a supporto del progetto di scavo».
Marzia Borzi