Dieci anni senza Luigi Lechi (nella foto) il benefattore della città che tanto ha fatto per un paese nel quale aveva svolto la professione di notaio per 40 lunghi anni e per il quale nutriva un sincero affetto. 

Era infatti il 31 ottobre del 2010 quando il conte si spegneva, lasciando per testamento alla città di Montichiari, donazione già stilata in Sala Consiliare il 30 maggio del 2005, una ricchissima collezione che sarebbe poi diventata il nucleo fondante del museo omonimo che sorge oggi nell’antico palazzo Tabarino. 

Opere d’arte (oltre 180), dipinti, disegni, stampe, una biblioteca di 1500 volumi storici – artistici e un’im-portante servizio da tavola composto da porcellane delicate, al momento mai esposto al pubblico, «un gesto istintivo d’amore verso l’arte e la cultura» come lui stesso ebbe a dire, che hanno reso Montichiari una protagonista non secondaria tra le sedi museali della provincia. 

Nato a Brescia nel 1926, Luigi Lechi era il secondogenito di Fausto Lechi, grande storico e promotore negli anni Trenta del Novecento delle prime mostre artistiche legate ad autori bresciani come il Romanino, il Moretto e il Savoldo.  

La famiglia, famosa per aver contribuito alle guerre napoleoniche, già nel Settecento e nell’Ottocento, aveva arricchito il proprio palazzo di Brescia e la villa di Montirone con opere d’arte di prestigio e la passione per i pezzi unici aveva continuato ad accendere l’animo anche dei discendenti nel corso dei secoli fino ad arrivare a Luigi e al fratello Piero che iniziarono la loro personale collezione intorno al 1960, prediligendo la Scuola Lombarda dal Cinque al Settecento. Dal 1957 al 1999 Luigi Lechi aveva esercitato la professione di notaio proprio a Montichiari creando un forte legame con il territorio e con alcune personalità locali, legame che lo spinse appunto a firmare il lascito suddetto. Una scelta sicuramente dettata dal sentire affettivo e che guidò qualche anno dopo anche quella del fratello Piero (firmata nel luglio 2008), deceduto nel 2013. Una passione profonda quella di Luigi Lechi per l’arte, il sogno di una vita raccolto e donato con generosità ad un luogo che, sebbene nel modo schivo tipico del suo carattere, doveva avere molto amato tanto da voler regalare tutto ciò che sentiva di più caro. 

A dieci anni dalla morte di Luigi Lechi, le porte del museo a lui intitolate sono chiuse causa emergenza Covid ma le iniziative al suo interno non si fermano e torneranno a breve per diffondere quell’impegno costante verso la cultura, l’arte e il bello che hanno contraddistinto tutta la sua vita.  

Marzia Borzi