Una panchina rossa per rendere visibile la violenza sulle donne: quella che – più d’ogni altra – si consuma al chiuso delle pareti domestiche, lontano dall’opinione pubblica (almeno, finché non diviene tanto eclatante da attirare i giornalisti). È un progetto lanciato (ormai anni or sono) dagli Stati Generali delle Donne: l’invito a ciascun Comune a far dipingere di scarlatto una delle panchine pubbliche.
Il vantaggio dell’iniziativa consiste nel lasciare un monito perenne e ben visibile a bassi costi (quale altro monumento sarebbe semplice ed economico come questo?).
Ovviamente, ciò s’inquadra in un più ampio progetto di educazione all’affettività: quella che viene chiamata “violenza sulle donne” non è qualsiasi generico atto di aggressività rivolto a una persona di genere femminile, ma un insieme di gesti (dall’insulto all’omicidio) rivolti a una donna che “non ha soddisfatto le aspettative” in quanto tale.
Di solito, questo tipo di violenza è accompagnato da commenti giornalistici come “l’assassino non accettava la fine della relazione” e altri che lasciano intendere un sentimento di possesso (più o meno consapevole) nei confronti della vittima. Uno schema preparato, incoraggiato e radicato in millenni di cultura (dobbiamo proprio ricordare che, già presso gli antichi Romani, la donna era sottoposta alla tutela e all’autorità del padre o del marito? E che una moglie colta in flagrante furto di vino in casa poteva anche essere uccisa?). L’istituzione di una “panchina rossa”, solitamente, è legata al 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
A Manerbio, però, questo particolare monumento è arrivato in occasione dell’8 marzo 2021: data comunque appropriata. Naturalmente, ciò è dovuto all’interes-samento dell’associazione “Donne Oltre”.
Possiamo ora incontrare la nostra “panchina rossa” passeggiando in via XX Settembre, tra una restrizione e l’altra.
Una presenza apparentemente casuale, ma che colpisce con l’insolito e fiammante colore.
Il colore del sangue.
Erica Gazzoldi