Gentile Direttore, in questi momenti tragici, dove impera l’egoismo della sopravvivenza, alcuni gesti di solidarietà sono molto importanti per la nostra comunità, e sono la dimostrazione di quell’umanità che alberga in fondo al nostro cuore ferito.
Mi riferisco in particolare a quanto messo a disposizione da parte della Fondazione Renato e Damiana Abrami Onlus, presieduta dalla signora Lidia Venturini (Fulvia), moglie e mamma degli intestatari venuti a mancare alcuni anni or sono.
Si tratta, come è noto, di una cospicua elargizione per la realizzazione di un Polo Oncologico e del-l’omaggio di una autoambulanza al Presidio Ospedaliero di Manerbio.
Queste donazioni sono oltremodo preziose perche’ messe a disposizione di tutti, proprio tutti, i cittadini del nostro territorio, che così potranno essere assistiti in un reparto alla avanguardia nella cura dei tumori, a cui si è aggiunta la disponibilità di un attrezzato veicolo di ultima generazione per il soccorso e per i casi di emergenza.
Sono gesti, questi, che commuovono e che mettono in evidenza il grande cuore e la sensibilità della presidente Venturini, facendole doppiamente onore, non solo per l’alto grado di generosita’, ma perche’ arrivano da una persona proveniente da una modesta famiglia numerosa, come del resto anche il suo amato marito Renato, con la mamma Rachele casalinga e il papà Giuseppe, impiegato comunale.
Proprio in questo periodo ho avuto con mia moglie il piacere di frequentare la signora Fulvia e parlare dello spirito in cui erano nate e si erano realizzate queste donazioni, manifestandole, a nome di tutta la cittadinanza, la nostra gratitudine per le meravigliose iniziative della sua Fondazione. In genere, un discorso poi tira l’altro e, riandando al passato prossimo e remoto, abbiamo riannodato i fili di tanti particolari dei suoi cari, il marito Renato e la figlia Damiana.
Avevamo davanti agli occhi lo spettacolo delle nostre figlie, la sua Damiana e la nostra Elena, in occasione di un memorabile saggio di danza tenuto presso il Teatro Politeama di Manerbio nei primi anni ’90: erano bravissime e ci mettevano un grande impegno, con quei costumi multicolori che facevano risplendere i loro corpi, in uno scenario indimenticabile.
Dalla maturità alla giovinezza, sulla traccia dei ricordi, il passaggio e’ stato poi breve e siamo finiti col tratteggiare il ritratto del caro Renato, mio coetaneo e amico d’infanzia, da tutti i “gnari de San Roch” chiamato “resol” per i suoi capelli ricci.
Erano gli anni della spensieratezza e, insieme, ne combinavamo di tutti i colori, giocavamo con un pallone mezzo sgonfio, sulla strada o nella piazzetta davanti alla chiesa del quartiere, formando spesso delle squadre con ragazzi molto più grandi e robusti di noi, col risultato di ridurci, alla fine delle partite, malconci e pieni di lividi.
Dopo le interminabili partite di pallone era il momento del riposo e noi ci sedevano sui gradini della chiesetta a raccontarci le prime cotte amorose per le ragazzine della casa accanto, e già allora parlavamo della bellissima ragazza bionda, che abitava al quartiere “Le Moneghe”, che si chiamava Fulvia e che il destino avrebbe poi fatto diventare sua moglie. Ma le nostre attività non erano solo sportive, avevamo anche la passione del “fai da te nostrano”: ci piaceva infatti tenere in tasca un coltellino per intagliare, giocare con il legno e costruire magnifiche fionde. Andavamo con queste alla nostra “caccia grossa”, tirando i sassi agli uccelli per abbatterli, ma per fortuna non avevamo una grande mira.
Da piccoli sciagurati andavamo perfino alla ricerca di nidi da rapinare, per allevare poi gli uccellini in striminzite gabbiette, cercandoli nei boschetti, dove ci fermavamo anche per nuotare nei canali e nei fossi. Molto ricercata era anche la caccia alle rane, spesso incrociando anche qualche topo di campagna, ma senza sicuramente pensare alla leptospirosi o all’inquinamento delle acque, di cui allora non c’era traccia.
Raccontare questi piccoli particolari della gioventù di Renato faceva emozionare la signora Fulvia, che poi descriveva la sua felice vita coniugale, pur nel grande dolore per la perdita della figlia, per cui la commozione ci prendeva tutti.
Per lei, nel suo animo, attuare ora queste forme di solidarietà diffusa, era non solo il ricordare i suoi cari, ma farli davvero rivivere, aiutandola ad attenuare quel forte vuoto che tutti i giorni porta dentro di sè. Lei ha scelto di essere generosa, perchè lo è per indole, e, osservando il bisogno degli altri, ha colto il vero senso di essere comunità, rinnovando il bene che i suoi amati hanno fatto in vita, prendendosi cura di tante persone per farle stare meglio.
Se Renato, pur ammalato, per salvaguardare i posti di lavoro dei suoi operai, è rimasto in fabbrica fino alla fine dei suoi giorni, resistendo al male, la signora Fulvia non è stata da meno, prendendosi cura di lui con coraggio e dedizione.
Ora sta donando quanto le e’ possibile. Grazie, Fulvia.
Luigi Andoni
Ricordiamo che il nuovo polo oncologico sarà una struttura da tre piani e 2.550 metri quadrati; un’opera da 6,6 milioni di euro, un gesto d’amore che salverà molte vite.
Un progetto fortemente voluto da Lidia Venturini, presidente della Fondazione nata il 10 dicembre 2015 e intitolata inizialmente a Renato Abrami, noto imprenditore bresciano del settore calzaturiero.
La moglie Lidia e la figlia Damiana volevano così “perpetuare la memoria di un uomo che, con la sua sensibilità, aveva saputo aiutare, incoraggiare e sostenere tante persone bisognose e promuovere importanti iniziative nel campo della solidarietà”.
Alla morte della figlia Damiana, avvenuta nel settembre del 2017, la signora Venturini ha coretto la denominazione della Fondazione, aggiungendo anche il nome della figlia: Renato e Damiana sono ora simbolicamente uniti nell’im-pegno sociale e nel sostegno alla ricerca scientifica.