Egregio Direttore, “perdere un amico è come perdere una parte di sé stessi”, dice la massima. Da poco noi abbiamo perso un uomo buono: Tino Gianello. Lui non amava le grandi compagnie, preferiva stare con una cerchia ristretta di amici, sempre gli stessi, fin dai tempi della Marzotto, la cui stima e il cui affetto aveva coltivato nel corso degli anni. Tino sapeva ascoltare e dare i consigli giusti; spesso era anche autoironico e spiritoso, sapeva farti ridere con una battuta che aveva sempre pronta. Era una persona onesta e leale, mite e positiva, che non cercava di compiacere gli altri: era sempre sincero, tratto che l’ha contraddistinto durante l’intera sua lunga vita.
Ricordandolo, desideriamo raccontare qualcosa di lui a quanti lo conoscevano ma che forse possono aver dimenticato. Era arrivato a Manerbio negli anni ’50 con un incarico da caporeparto alla Marzotto, trasferito da Valdagno, dato che la ditta preferiva per i ruoli medio-alti avere qui dei valdagnesi di fiducia. Allora era un po’ così. Un particolare fatto d’allora che lui amava raccontare era che nello stesso giorno era stato assunto il fratello a Valdagno e lui inviato a Manerbio. Passato un anno, gli venne data la possibilità di tornare in sede, se avesse preferito, ma lui rifiutò perché a Manerbio ci stava benissimo e poi aveva trovato “l’amore”. Erano tempi in cui i forestieri, i “veneti”, come venivano chiamati, erano malvisti e tenuti alla larga, come stranieri, per essere poi accolti a braccia aperte qualora si fossero accasati con qualche nostra ragazza. Tino era un uomo sportivo, amante del tennis, che si era poi dedicato alle bocce in età avanzata, in compagnia dell’amico Gianfranco, suo collega di lavoro. È sempre vissuto in simbiosi con la moglie, molto simpatica, estroversa e piena di vita. Negli ultimi anni, quando lei si ammalò e poi venne a mancare, a Tino cascò il mondo: non fu più quello di prima, si chiuse in sé stesso, cordiale solo per abitudine e gentile per indole, anche se era ormai evidente come ormai pure lui fosse morto dentro. Quanti hanno lavorato assieme a lui ricordano che da responsabile era molto disponibile a dare una mano, a chiudere un occhio se serviva, a prendere le loro difese: un fratello maggiore, insomma. Tino ha vissuto una lunga vita, forse l’unico rimpianto è di non aver avuto figli, potendo vantare però grandi amicizie. I veri amici non si perdono: è spirito che non si cancella, ma che vive nei ricordi e nelle emozioni. Tino è con noi!
Luigi Andoni e altri anziani di Manerbio