Egregio Direttore, in prossimità dei miei ottant’anni, mi si accende l’immagine di me, “gnaro” alunno delle elementari e del mio maestro di Verolanuova, molto legati tra di noi: è un ricordo che si fa quasi presenza dopo tantissimi anni. È stato proprio lui, il Maestro Giuseppe Redana, ad insegnarmi a dipanare la mia confusa matassa di pensieri gracili e insicuri, oltre a farmi assaporare la scoperta delle cose importanti dell’esistenza, apprezzando il miracolo di vivere. Adesso, quasi settantadue anni dopo, l’allora alunno della 3°B di un paese della Bassa sta vivendo la sua lunga vita e, ad un tratto, sente il bisogno di tessere le trame di un dialogo ideale con chi ha acceso in lui la scintilla del sapere e il desiderio di apprendere tutto, che lo hanno accompagnato durante il cammino dei decenni. A volte, ma non sono per nulla fuori di testa, mi sembra ancora di sentire il suo vocione che mi incita, come in questo momento mentre scrivo la lettera e, come accadeva allora, prima o al momento delle interrogazioni. Proprio quando in classe la tensione si faceva più pesante, il maestro sapeva alleggerire l’atmosfera con battute allegre e simpatiche: era la classica pausa in cui sapevamo che ci era permesso ridere e scherzare, anche se non abbiamo mai abusato della libertà a noi concessa. Un’altra immagine che mi ritorna è quando il nostro maestro, fanciullo tra i fanciulli, si abbandonava al suo estro e alla sua gioiosa mimica mentre ci interpretava e leggeva il libro “Cuore”. Quel Maestro era il nostro proverbiale punto di riferimento, malgrado la sua severità, anche perché era sempre pronto a rivolgerci una parola di incoraggiamento. Lo devo a lui se ho amato a prima vista eroi e personaggi storici come Mazzini e Garibaldi. Nonostante tutto ciò, so pure di averloa nche deluso, soprattutto quando, dopo aver lui ripetuto le spiegazioni, di fronte alla durezza del mio comprendonio, pareva arrendersi e gli scappava un po’ la pazienza. In quei momenti temevo di avere perduto per sempre la sua fiducia, ma di lì a poco, passata la delusione, con una battuta dal tono bonario mi dimostrava che nulla tra noi era mutato. Erano imbarazzi penosi per me, ma d’altra parte il maestro ci insegnava che dovevamo affrontare di petto le situazioni che la vita ci offriva, anche le più ostiche, tanto più che, come lui diceva, “ogni balzo in avanti della civiltà aveva avuto i suoi rischi, che crescevano in ragione diretta col crescere del sapere”. Per istruirmi, anche io dunque avrei dovuto pagare pegno. Dopo le Elementari, col maestro ci perdemmo di vista, finché un giorno ci incontrammo per caso nei pressi della sua abitazione; lui di slancio mi prese sotto braccio e insieme percorremmo un bel pezzo di strada. Le sue parole di allora mi rimbalzano ancora negli orecchi: “Mi dicono che ti stai facendo onore nel tuo lavoro, bravo, continua così, sono fiero di te.” Non lo potrò mai dimenticare, un Maestro con la M maiuscola.
Luigi Andoni