Abbiamo già parlato del Castello (anzi, dei castelli) di Manerbio e degli assedi ivi sostenuti. Il passaggio dal XIV al XV secolo non vide diminuire le guerre, nella nostra città. Anche di questo parla l’opera di Mons. Paolo Guerrini: “Manerbio: la Pieve e il Comune” (Brescia 1936, Scuola Tipografica Opera Pavoniana).
Le lotte fra Milano e Verona furono sostituite da quelle fra Milano e Venezia. La Serenissima, infatti, aveva esteso i suoi possedimenti di terraferma; nel 1426-1427, conquistò anche i territori di Brescia, Bergamo e Crema.
Il 10 giugno 1440, il Castello di Manerbio, tenuto dai veneziani, fu assediato ed espugnato da Francesco Sforza, duca di Milano; fu ripreso dall’esercito veneto nel 1446 e perduto nuovamente poco dopo, mentre le campagne vivevano nell’incubo delle scorrerie militari.
A Manerbio, pose il proprio quartier generale a Manerbio il condottiero Iacopo Piccinino (1423-1465). All’epoca, la nostra città era considerata una sorta di roccaforte della fazione sforzesca e Piccinino, di recente passato dal soldo di Milano a quello di Venezia, voleva probabilmente controllare la situazione. Di certo, i rapporti manerbiesi con la Serenissima non erano… serenissimi. In particolare, la Repubblica di S. Marco, nel 1484, ridusse notevolmente la Quadra di Manerbio, ovvero il territorio sottoposto all’amministrazione del Vicario maggiore nominato dal Consiglio generale della città di Brescia e insediato nella nostra città. Quando scoppiò la guerra di Ferrara tra la Serenissima e gli Estensi (1482), Manerbio si destreggiò fra i contendenti in modo a dir poco ambiguo.
Sulle porte del Castello, era dipinta la biscia viscontea, non il leone di San Marco. Per di più, i manerbiesi inviarono alcuni intermediari a offrire le chiavi del suddetto Castello al Duca di Calabria, altro nemico della Serenissima. Come risultato, furono trattati quali ribelli dalla Repubblica veneta: molti manerbiesi furono imprigionati a Brescia per due anni, altri mandati al confino.
Il 20 novembre 1483, i soldati veneti discesero da Bagnolo a Manerbio e gli abitanti della nostra città cercarono di farsi perdonare in quell’occasione: suonarono le campane e sostituirono la biscia viscontea con la figura di San Marco, sulle mura del Castello. Ma era troppo tardi: la zona non sfuggì al saccheggio. Nel 1484, poco mancò che la stessa fortificazione fosse demolita, mentre i soldati veneti portavano via da essa quanto vi trovavano e i contadini fuggivano verso la città. La distruzione del Castello fu però fermata da un ordine governativo provocato dai nobili che avevano beni e case a Manerbio.
Il 9 luglio 1484, arrivarono a Manerbio i soldati del duca di Calabria, primogenito del re di Napoli e nemico di Venezia (come dicevamo). Pochi giorni dopo, tuttavia, iniziò la tregua che portò alla pace di Bagnolo, firmata all’osteria delle Chiaviche l’8 agosto 1484. Il duca di Calabria non ne fu felice: sperava in una vittoria e confidava di poter imporre a Venezia onerose condizioni di pace. Volle prendersi una rivalsa sulle popolazioni della Bassa Bresciana, in particolar modo su Bagnolo e Manerbio: a questi impose grossi tributi in denaro e la consegna delle campane. Dodici manerbiesi dovettero anche essere custoditi come ostaggi nel castello di Cremona. Secondo la cronaca del notaio Iacopo Melga, gli abitanti di Manerbio pregarono che fossero risparmiate le campane, per reverenza alla Madonna. Il bombardiere del duca, già pronto a rimuoverle dal campanile, rimase paralizzato, finché non si convinse a lasciar le campane al loro posto. Probabilmente, era il 5 agosto 1484, festa della Madonna della Neve; il racconto rientra negli aneddoti miracolistici che corredano questa devozione locale. Proprio davanti all’affresco della Madonna della Neve, nella chiesa parrocchiale, i manerbiesi pregarono in quell’occasione.