Era il 1999, pieno agosto, quando il cielo di Porto Empedocle venne sconvolto da un terribile boato. Una coppia di Tornado, appartenenti al 156° gruppo volo del 36° Stormo di Gioia del Colle, erano decollati alcuni istanti prima per una crociera d’addestramento con manovra “sotto i cento piedi”, a bassissima quota, solo per piloti di comprovata esperienza. Ancora oggi non è chiaro cosa possa aver causato la caduta del velivolo gregario, che si trova oggi sul fondo del mare, con una scatola nera ancora da trovare: l’unica cosa certa era che una caduta in quell’istante avrebbe causato una sicura tragedia, considerato il continuo susseguirsi dei centri abitati affacciati sullo splendido mare siciliano. Con una disperata manovra, l’equipaggio, con tenacia e sangue freddo, decide di dirigere il Tornado verso il mare, sulla cui superficie impatta tanto violentemente da causare la morte di due giovani e promettenti ufficiali: il pilota Ten. Col. Marco Cò, e il suo navigatore, Ten. Col. Giuseppe Cornacchia.
A distanza di tanti anni, la comunità empedoclina e tutti coloro che, per servizio o per amore, ne hanno conosciuto e apprezzato il coraggio e la dedizione, hanno desiderato rendere omaggio alla memoria di due giovani ai quali la vita ha sempre posto innanzi un’infinità di sfide, tutte vinte, così come anche l’estremo duello con la morte nel desiderio di salvare quella altrui. Tra i due c’era, appunto, anche Marco, “rampollo” di una conosciutissima famiglia manerbiese, i Cò, uomo brillante e al quale, grazie alle memorie dei famigliari, custodite gelosamente nel profondo dell’animo, non si può che guardare come modello di integrità, fedeltà ed estremo senso dell’onore e del dovere.
Aitante e distinto, culturalmente e professionalmente preparatissimo, cordiale e generoso, pilota eccellente: questi sono solo alcuni degli attributi riconosciuti alla straordinaria personalità di un giovane, nato nel 1965 e morto a soli trentaquattro anni, da parte dei suoi superiori, scritti nero su bianco nelle innumerevoli carte che scandiscono, anno dopo anno, la brillante carriera dell’aviatore manerbiese. La firma sul monumento, laggiù in Sicilia, è di Placido Casella: su una roccia basaltica, simbolo di solidità e radicamento al territorio della Trinacria e dipinta con le tinte del Tricolore, poggia il “timone” di un Tornado, dritto verso l’infinito Mediterraneo, ad imperitura memoria di un tanto grande sacrificio.
L’Aereonautica, la grande passione di Marco, non gli aveva impedito di donare la propria umanità anche al prossimo: ne hanno un ricordo affettuoso i fratelli e la moglie, Daniela, nonché un fulgido esempio i figli, Federico e Davide, degni eredi di una grande storia come quella del loro padre. Un cuore a metà tra le nuvole del cielo e le nebbie della Bassa, alle quali Cò deve le sue origini ma alle quali lascia un’eredità di enorme valore.
“La cerimonia mi ha toccata nel profondo: non mi aspettavo che così tante persone avessero a cuore quanto accaduto e coloro che, in quel terribile giorno, hanno perso la vita. L’Aeronautica è una grande famiglia che non ci ha abbandonato. Ringrazio di cuore tutti i donatori che hanno reso possibile la realizzazione del monumento e, inoltre, il Capo di Stato Maggiore Gen. Goretti, l’ex Capo di Stato Maggiore Gen. Preziosa, il Gen. Casella, il Gen. Vestito e il Gen. Del Bene che, nonostante i loro molti impegni, hanno voluto essere presenti – racconta la moglie Daniela – Marco aveva un grande sogno nel cassetto: quello di servire il proprio Paese il più in alto possibile, nello spazio. Ricordo ancora quando, dopo aver superato il selettivo esame per l’abilitazione alla guida dei Tornado, tirò fuori dal cassetto il suo prossimo traguardo da superare: era una cartellina con dei fogli e una domanda per essere ammesso ai programmi della NASA”. Oggi ricordiamo, ancora, la perdita di un grande uomo, ma percepiamo, nell’amore dei propri cari e nei racconti delle sue imprese, il significato profondo di un’indole che, senza dubbio o presunzione, possiamo definire eroica.
Leonardo Binda