Il 27 gennaio 2022, per la Giornata della Memoria, il Politeama di Manerbio ha proposto il cinedocumentario “Il senso di Hitler” (USA, 2020; regia di Petra Epperlein e Michael Tucker). Esso è stato tratto dall’omonimo saggio (1978) di Sebastian Haffner, il primo a cercar di dare una spiegazione razionale sistematica del fascino del nazismo. Il 27 gennaio 2022 è stata anche la data di uscita della pellicola nelle sale cinematografiche italiane.
Il film ripercorre i luoghi della vita di Hitler, cercando di separare la storia dal “personaggio” e dal “mito”. Video d’epoca si alternano a spezzoni cinematografici e persino a spettacoli di varietà. Si intravedono gli acquerelli del giovane Adolf, artista deluso nelle proprie ambizioni. Allo stesso tempo, si spazia nella contemporaneità: viene mostrata la foresta ove sorgeva il campo di sterminio di Sobibór, avvolta in un silenzio totale. Riportare alla luce i resti del campo è un lavoro delicato, al quale gli archeologi si approcciano con cautela. Sempre nei boschi è la cosiddetta “Tana del Lupo”, uno dei quartieri generali di Hitler, in Polonia. Si tocca con mano la sensazione del nascondimento, nel cuore di una natura che fa il suo corso, durante l’impazzare della storia umana. La morte nel cuore della vita, verrebbe da dire. Ma non è questa la “magia” che portò decine di milioni di persone ad affidarsi alla fede nazista.
Essa consiste nella stessa natura del rapporto fra Hitler e le masse. Abilissimo oratore e credente nelle abnormità che egli stesso creava, fu capace di instillare negli altri i suoi stessi “sogni di grandezza” e di farli parere possibili. Esattamente come celebrità pop quali i Beatles, Hitler si presentava in pubblico nascondendo le proprie relazioni private, perché ognuno doveva poter proiettare su di lui i propri sentimenti. Prima dell’ingresso nella Seconda Guerra Mondiale, l’ “incantesimo” hitleriano diede alla Germania la sensazione di vivere una “luna di miele” (o un’orgia?).
Quanti erano al corrente del prezzo di tutto questo? Quanti conoscevano il lato macabro di quella “grande Germania” in cui pensavano di vivere? Buona parte dell’Olocausto fu nascosta sia durante la sua esecuzione, che in seguito. Ma c’era qualcuno che sapeva. E già era forte la tentazione di negare, sminuire, giustificare. Come nella più classica delle relazioni narcisistiche, era difficilissimo vedere l’orribile realtà dietro lo splendido personaggio fittizio, dietro il sogno.
Hitler fu capace di proporsi come Messia che portava parole forti, il Vangelo di una “illustre nazione capace di qualsiasi conquista”. Dall’altro lato, c’erano decine di milioni di persone bisognose di sentirsi rivolgere quei discorsi, di credere in quelle fantasie. Si aggiunga l’umano “istinto del branco”, che (da sempre e in ogni luogo) ci spinge a unirci ai “nostri”, dando la caccia agli “altri”. Il nazismo non è solo un fenomeno storico. Ha radici nella nostra stessa natura e che può svilupparsi (in una forma o in un’altra) non appena trova terreno fertile e senza ostacoli.
Ancora oggi, ci sono storici, movimenti politici e youtuber affascinati dal Führer. L’irrealtà e l’assenza di limiti della rete rende ancora più facile proporre versioni pop e accattivanti del personaggio. Le manifestazioni ispirate alla sua ideologia si svolgono alla luce delle torce, nello stesso mix di romanticismo e orrore in cui consiste la “magia” del nazismo. Una “magia” che rischia di sfuggire di mano, se non si tocca finalmente la terra, la verità putrescente su cui si sviluppa il fuoco fatuo dell’illusione. La verità seppellita a Sobibór.
Erica Gazzoldi