In principio, erano i Sigillaria: una festa romana compresa nella settimana dei Saturnalia e che cadeva attorno all’attuale 20 dicembre. I Saturnalia erano, appunto, la festa di Saturno, dio del sottosuolo e dell’abbondanza che proveniva dalla terra. Festeggiarlo d’inverno significava godersi quanto i campi avevano dato durante l’anno e condividerlo alla pari con gli altri uomini (schiavi inclusi), come a ricordare l’eguaglianza naturale di ciascuno quale figlio della terra. I Sigillaria, introdotti sotto Caligola (12 – 41 d.C.), erano celebrati col mutuo dono di statuette (“sigilla”) rappresentanti probabilmente gli antenati defunti durante l’anno. Nelle case, i bambini lucidavano queste immagini e le disponevano in un recinto entro il quale era ricostruito un ambiente bucolico in miniatura. “Recinto”, in latino, è “praesepe”…
Per l’appunto, questa usanza romana (forse anche più antica ed esotica, in origine) si trasformò nel presepe, quando il culto degli antenati, di Saturno e delle altre divinità fu sostituito da quello di Cristo. Questi piccoli mondi composti ad arte, quale che sia il loro significato religioso, hanno sempre un fascino irresistibile.
A Manerbio, l’esempio forse migliore è quello delle creazioni annuali di Angelo Bertelli, presidente delle ACLI locali. Spesso, i suoi presepi artistici stupiscono con ambientazioni particolari. Per il 2022, ha preferito un classico set bucolico senza ulteriori specificazioni. Forse, proprio per questo la fantasia personale ha avuto la meglio sulla preoccupazione della ricostruzione realistica.
Al centro di tutto, ovviamente, c’era la stalla ospitante la Sacra Famiglia, con ghiaccioli pendenti dal tetto. Da notare la meticolosa pavimentazione in pietra della capanna.
Intorno, naturalmente, c’era un intero villaggio rurale. Tra i viali di ghiaia, spiazzi erbosi ospitavano le pecore. Le piante erano state realizzate con rametti d’alloro. Qua e là, c’erano persino panchine. Sotto le arcate degli edifici al pianterreno, si trovavano botteghe: quelle d’un salumiere e d’un calzolaio, per esempio.
Ragazze affacciate da tetti e balconi, pastori con pecorelle sulle spalle, donne intente a pesare frutta, fuochi accesi sotto cappe di pietra, una danzatrice col tamburello, un ponticello, i Magi che giungevano alla chetichella dietro i muri delle case… Ovunque si gettasse l’occhio, un nuovo “sigillum” raccontava d’una vita puramente immaginaria, eppure umanissima. Anche gli interni illuminati dei portici e delle finestre suggerivano retroscena animati dalla fantasia.
Il mistero che ci richiama dal recinto di un presepe, spesso, è pre-religioso. Fa appello alla tendenza della nostra mente a leggere le immagini, riempire i vuoti… Tutti quei personaggi si impongono come presenze reali, vogliono raccontarsi ai nostri occhi. Le loro case (mere scatole di sughero e cartapesta) sono animate dalla perizia dell’artista e dalla nostra immaginazione. I simulacri morti vogliono vivere – e possono farlo una volta l’anno, nel recinto di una composizione familiare, ma sempre nuova.