Il 7 maggio 2023, dopo la celebrazione posticipata della Festa dei Lavoratori, si è tenuto un altro evento a Manerbio: al Bar Borgomella, è stata inaugurata la mostra del Gruppo Fotografico Lenese (7 maggio – 17 giugno). Essa vuole sottolineare la dimensione collettiva, perciò le opere esposte non sono firmate. Possiamo però dire che, a rappresentare il Gruppo durante l’inaugurazione, c’erano Roberta Mobini, Luca Baronchelli, Fabio Sterza, Giovanni Biemmi, Massimiliano Dagani, Mauro Comaroli, Simona Zavaglio, Fabio Modonesi e Luciano Bonardo.

A rendere particolarmente godereccia la serata sono stati non solo i panini con la porchetta, ma soprattutto i brani della Banda dell’Ortica: un complesso locale che ripropone il repertorio di Enzo Jannacci, Renato Carosone, Giorgio Gaber, Fred Buscaglione. È stata una vera e propria ventata di graffiante anticonformismo, ironia amara e vivace performance, con un tocco “d’epoca” che non guastava. Purtroppo, un temporale ha interrotto il concerto; ma i nostri sei non si sono scoraggiati: con una chitarra, hanno improvvisato alcune canzoni in coro coi presenti.

Le protagoniste, a ogni modo, rimangono le fotografie. In esse, vive l’incanto dei sentieri di montagna e dei fiori di campo, ripresi nel dettaglio. Un corpo femminile lucido e flessuoso accompagna le proprie linee curve con quelle di un drappo rosso fiamma, in un dinamismo statuario. In una foto in bianco e nero, una ragazza bella e imbronciata siede all’ingresso di una vecchia casa, forse in attesa di un messaggio che non arriva. Ricordano i dipinti di Edgar Degas i due scatti ritraenti una ballerina. Silenziosi e magnifici sono invece il mare e il Tamigi, mentre volteggiano gabbiani al di sopra delle loro acque.

Un pianeta ignoto mostrava sfumature di colori caldi e freddi sulla sua superficie, come se fosse stato appena intinto in fresche vernici. 

Anche le architetture svelavano una loro vertigine, che si trattasse di geometrie perfette o delle volute di una scala a chiocciola. Un gioco ottico capovolgeva una famosa facciata, mentre alcune piante grasse fotografate dall’alto illudevano per un attimo d’essere cupole puntute ed estrose. Seguivano scatti in bianco e nero: un campo allagato, un giocatore di pallacanestro in un momento di tensione, un anziano uomo concentrato sulla propria pipa… e un delicato ritratto femminile, in cui qualcuno ha riconosciuto una nostra compaesana. I paesaggi urbani, coi loro intensi graffiti, e l’interno di un treno erano accostati a una folla di visitatori sui merli di un castello: la capacità della fotografia di isolare sguardi e momenti le permette, in un certo senso, di astrarre le cose dal tempo. Il Mosé michelangiolesco accompagnava un’adolescente odierna con un’acconciatura a treccine, resa quasi monumentale dal fortissimo chiaroscuro in cui la figura di lei era immersa. Una grondaia fotografata da terra apriva una vertiginosa prospettiva verso il cielo.

Né questo elenco esaurisce tutto quello che i visitatori possono vedere. La fotografia, più rapida e tecnologica della pittura, non è però meno capace di trasmettere osservazioni acute ed emozioni intense. È proprio il caso di dire: “Vedere per credere”.