I carrettieri, uno dei mestieri più rappresentativi della cultura tradizionale fino agli inizi del secolo scorso. L’economia e i trasporti erano in gran parte affidati ad animali da traino e il carretto era dunque uno strumenti di lavoro necessario. Alcuni di questi costumi sono sopravvissuti fino agli anni sessanta.
Tuffiamoci nel ricordo durevole del mestiere. Certo, le giovani generazioni oggi vedono il carretto nelle sfilate folkloristiche o in alcune piazze dove viene mostrato come un cimelio antico. Era trainato, in passato, da cavalli, muli o asini. Voglio ricordare questi ragazzi di un tempo che con il caldo o con il freddo erano sempre presenti e pronti per tutti coloro che avevano bidogno delle loro prestazioni. Uno dei carrettieri più conosciuti a quel tempo era Gianù Bù, che trasportava con mulo e carretto ghiaia e sabbia. Non so se si trattasse di verità o leggenda metropolitana, ma si racconta che il suo mulo, senza comando, quando passava davanti ad un’osteria, che a quel tempo erano tante, automaticamente si fermava e il suo padrone doveva fare necessariamente il sacrificio di bere un calicino alla salute del suo compagno di lavoro.
Battagliola, conosciuto con il soprannome di Conecio, con il pony vendeva le angurie, girando le vie non solo di Manerbio ma anche dei paesi limitrofi gridando “Al taio, al tario, le angurie iè bune, iè rose e la ga la granò”. Brusinelli Angelo, faceva trasporti di piccole cose, con il somarello e il carretto, a tutti coloro che avevano necessità, specialmente a novembre, quando era la stagione dove tanti macellavamo il maiale per procurarsi le provviste invernali di salami, cotechini e brostole. Lui trasportava l’animale al macello e poi nel “meset”, ossia un contenitore rettangolare di legno, ti riportava tutto a casa, già macellato. Arrighi Battistì era un ometto piccolo ma aveva un cavallo molto grosso trainante il suo carretto. Egli aveva l’appalto per ritirare tutti gli scarti del lanificio Marzotto, dovendo poi attraversare tutto il paese per portarli a casa sua in via Roma, cosicché tutti poterono conoscerlo come Batistì del caal gros. Battista Savio con cavallo e il suo benel (un tipo di carretto ribaltabile) trasportava per tutti i muratori e li riforniva di mattoni e materiali edili. Era conosciuto come Gioan del caret. Egli faceva anche le consegne per la signora Maria Zambelli del negozio di chincaglieria e ferramenta in piazza Italia. Gottani, detto Remedel, con cavallo e biga, trasportava mucche, buoi, cavalli e tanti altri animali per agricoltori e macellai; faceva anche il fattorino con il calesse e carrozza durante gli sposalizi e battesimi. Ziletti Vincenzo, conosciuto come Censo Paler, con ben due cavalli, di nome Mario e Nano, vendeva chincaglieria per cascine e mercati. Era una persona previdente, intelligente, che amava gli animali e siccome il giro che faceva era abbastanza lungo allora attaccava una volta il primo e la seconda l’altro cavallo. Colombi, anche lui ambulante, vendeva pentole, ceramiche e affini. Baiguera Cesare, con cavallo e carretta, faceva il corriere tra Manerbio, Brescia e Milano. Anche i fratelli Cavagnini erano commercianti di acqua minerale, vini e bibite. Il Magiaro vendeva invece frutta e verdura. La famiglia Fredi, conosciuti con il soprannome di Uina, erano commercianti di frutta e verdura all’ingrosso. Antonini Nino, conosciuto come Paroler, raccoglieva gli escrementi dei quadrupedi per strada (oggi lo chiameremo ecologista). A quel tempo erano tantissimi, specialmente quando c’era transumanza delle mucche. C’era poi Lorandi, che faceva dei piccoli trasporti come bauli, tavoli, sedei, metarassi, vasi di fiori e tutto quello che bisognava trasportare. Era una persona buona e onesta: si accontentava delle piccole mance e di un bicchiere di quello buono quando c’era l’occasione. C’erano i Later, Menolat Rambaldini, Saia, Zacchi e pensate che una volta anche i tram erano trainati da cavalli e c’era quel detto che recitava “quando i tram andrà senso caai, sarà un mond de guai!”. Questo dunque lascio giudicare a voi!
Piero Viviani