La “Si può fare band” in questi anni ha ottenuto un posto d’onore nel panorama internazionale dei gruppi musicali. I risultati conseguiti sono merito Suo e di tutto il team. Lei, in questo modo, opera nel settore della disabilità da tempo ed ha una conoscenza approfondita di questo ambito. Quali sono le risorse di queste persone?
Ciò che ho imparato da questa mia esperienza è che il mondo, oggi, per essere sano ha bisogno di un confronto con le persone diversamente abili: i loro talenti sono preziosi, cosi come la loro capacità di dimostrare che esiste una libertà nel profondo di ciascuno di noi che non dipende dalla nostra condizione biologica, ma dalla nostra interiorità e spiritualità che ci rende unici. Queste persone hanno una grande abilità nell’entrare in contatto con la loro unicità e sanni esprimerla al mondo, riescono a dimostrare che una condizione lontana del normotipo non intacca la spiritualità. Le persone con disabilità, nella loro apparente semplicità, hanno la capacità di essere fedeli a ciò che provano. Pur avendo lavorato per tanti anni con professionisti anche nell’ambito della musica, non ho mai trovato questa peculiarità. La dimensione di autenticità che si respira all’interno della “Si può fare band” è davvero straordinaria.
Quali sono i limiti dettati da mancanze normative e istituzionali che le persone con disabilità devono affrontare?
Durante i viaggi che sto facendo in questo periodo, sia per il G7 che per l’ONU, ho appurato che non ci sono vuoti normativi in Italia. Da tempo abbiamo la legge 68 che riguarda il collocamento immediato e la 62 del 2024 del ministro Locatelli che riconosce ulteriori diritti alle persone con disabilità. Non mancano le leggi, manca la conoscenza delle leggi. Spesso la persona con disabilità è un po’ abbandonata a sé stessa a causa di una serie di servizi di assistenza frammentati. E’ ancora vivo il pregiudizio che per queste persone le condizioni debbano essere diverse. C’è poca attenzione anche da parte dei professionisti o di chi opera in questo ambito.
In base alla sua esperienza che cosa significa per Lei inclusione?
Per me inclusione significa “esperienza”: fare esperienze con persone con disabilità. L’unico modo per fare inclusione è trascorrere tempo con loro: non esiste alcun trattato scientifico che possa spiegare meglio questo concetto. Solo stando con chi ha questa condizione si può attingere e capire il loro entusiasmo, la capacità di investire su una relazione di qualità, la loro motivazione e capacità di non mollare mai. Tutto ciò è molto chiaro nella “Si può fare band”
Quali sono i benefici che la musica può dare a persone che soffrono di disabilità?
La musica svolge un ruolo molto importante in ciascuno di noi. Per le persone con disabilità è un’esperienza immersiva. Il linguaggio sonoro attiva tutte le aree del cervello. Nelle persone con disabilità la musica migliora la motricità, la capacità comunicativa e quella di attenzione. La Si può fare band è riuscita a portare l’attenzione dei suoi musicisti oltre un’ora che è il tempo necessari per i concerti sul palco. Si tratta di un’attività che restituisce un piacere spirituale e fisico che dà un vero e proprio miglioramento della qualità di vita. La nostra band non si esibisce in contesti protetti, ma opera nel sociale confrontandosi con il mondo reale. Un giorno mi piacerebbe che tutto questo, per loro, si tramutasse in lavoro.
Recentemente una componente della Si può fare band, Eleonora Gravi, ha avuto problemi di salute ed è stata ricoverata in ospedale per quasi tutto il periodo natalizio, prima a Manerbio e poi agli Spedali Civili di Brescia. Che idea si è fatto della presa in carico della problematica di questa ragazza?
Mi sono fatto l’idea che la presa in carico, per le persone con disabilità, è frammentata, parziale e insoddisfacente. Eleonora non ha ricevuto le attenzioni cliniche necessarie e c’è stata una palese mancanza di assunzione di responsabilità da parte dei medici nel fornire risposte chiare e di interloquire con la famiglia. Gli interventi dei sanitari, sia a Manerbio e anche, se un po’ meno al Civile, sono stati poco coordinati. Mi sono interessato direttamente della questione, ho parlato con medici e direttore sanitario e l’idea è che ci sia scarsa comunicazione tra i reparti e che, come si suol dire “la mano destra non sappia cosa fa la sinistra”. In uno dei miei incontri ho scoperto casualmente che al Civile esiste ed è in fase di attuazione un progetto denominato “DAMA” che mira a creare una corsia preferenziale per le persone con disabilità. Perché non si conosce? Perchè non si investe in comunicazione? In conclusione la presa incarico in entrambi i nosocomi è stata totalmente insoddisfacente. Là dove la scienza medica non sa dare risposte deve intervenire la deontologia professionale di chi opera in questo delicatissimo settore.
Cosa manca al nostro sistema sanitario per migliorare la cura di questi pazienti?
Al nostro sistema sanitario manca ancora la capacità di una vera e propria presa in carico del paziente in un’ottica complessiva. Questo implica chiaramente collaborazione e comunicazione che a volte nei nostri ospedali manca. E’ necessario che, anche in ambito pubblico, i nostri medici e professionisti siano messi nelle condizioni di operare correttamente a beneficio dei cittadini. In questo senso anche i sindacati dovrebbero avere un ruolo determinante nel creare i presupposti per favorire il miglioramento lavorativo anche all’interno delle strutture sanitarie pubbliche. E ripeto: là dove non può arrivare la scienza deve arrivare l’uomo con la sua deontologia e umanità.
Barbara Appiani