A quasi due mesi dalla notizia dello spandimento di fanghi tossici su terreni agricoli, ci si chiede quali siano ad oggi i provvedimenti urgenti intrapresi per cercare di tutelare la salute pubblica.
Sul territorio bresciano, l’unico Comune che ha deciso di chiudere l’accesso ai fondi e di bloccare i raccolti sui terreni contaminati è Lonato. Il primo cittadino Roberto Tardano spiega che l’amministrazione comunale ha effettuato una variazione al regolamento in cui si specifica che per poter spandere i gessi di defecazione sul territorio è necessaria una relazione agronomica dei terreni e una comunicazione 90 giorni prima.
In questo modo il Comune bresciano è riuscito ad effettuare velocemente una mappatura delle aree coinvolte dallo spandimento di fanghi pericolosi e a bloccare la raccolta su questi campi.
Nelle scorse settimane il sindaco di Manerbio e presidente della Provincia Samuele Alghisi ha tenuto un incontro coordinato dall’avvocatura della Provincia al quale hanno partecipato i primi cittadini dei comuni interessati.
Durante il tavolo di confronto sono state analizzate le possibili azioni che possono intraprendere i primi cittadini per tutelare la popolazione.
“Ad oggi – ha dichiarato Alghisi – poiché è ancora in corso la fase investigativa da parte della Procura e delle forze dell’ordine, non ci sono elementi di azione concreta da parte dei Comuni. L’incontro odierno è servito anche per fare luce sulle possibili azioni da intraprendere.
Per questo motivo la Provincia sta valutando di coordinare, a nome delle amministrazioni coinvolte, azioni di richiesta nei confronti degli enti ispettivi, al fine di facilitare l’iter di ottenimento di quelle informazioni indispensabili affinché i Comuni possano decidere come e dove procedere.
Il confronto è stato ampio e molto approfondito”.
Al tavolo informativo hanno partecipato 25 enti tra quelli indicati dal documento del comando provinciale dei carabinieri forestali di Brescia. “La Provincia” ha concluso Alghisi “si è messa a disposizione per coordinare le iniziative in ambito amministrativo tenendo conto delle molte differenti situazioni di ogni singolo ente”. L’inchiesta sui fanghi tossici è condotta dalla Procura di Brescia ed ha portato ad indagare 15 persone per reati ambientali, vale a dire quelli connessi al presunto spandimento di fanghi inquinanti, non depurati sui terreni agricoli, in tutto il nord Italia e al sequestro, da parte dei carabinieri della forestale di tre impianti della Wte di Calcinato, Quinzano e Calvisano.
I siti contaminati, su tutto il territorio provinciale sono 96 e alcuni di questi sono anche sul territorio di Manerbio.
Come sottolinea il Ministero, i fanghi non trattati della Wte non sono fertilizzanti ma rifiuti, che hanno inquinato ed hanno provocato un enorme danno.
Si tratta di ben 150 mila tonnellate di materiale contaminato – vale a dire rifiuti e non concime – distribuito sui campi della Bassa Bresciana e di numerose zone del nord Italia tra il 2018 e il 2019.
Il giudice ha disposto il sequestro complessivo di 12,3 milioni di euro a carico di diverse aziende.
Soldi che, in caso di condanna, potrebbero coprire solo una minima parte dei costi.
Ora i Comuni proveranno a chiedere un risarcimento e lo farà anche Manerbio.
Resta da accertare se i veleni hanno già raggiunto la falda, una eventualità che potrebbe aprire scenari inquietanti.
Intanto il Codacons Lombardia e Codacons Brescia, dopo aver fatto un esposto ed essersi costituiti parte civile chiedono il divieto di raccolta sui terreni contaminati e relative ordinanze di rimozione dei rifiuti.
La logica imporrebbe che il danno venga riparato da chi l’ha provocato, ma l’inco-gnita bonifica esiste e pesa come un macigno sugli stessi Comuni interessati, tra i quali, appunto, Manerbio.
Barbara Appiani