Francesco Bertoli (a sinistra) 56 anni, è stato delegato sindacale alla Iveco di Brescia, in rappresentanza della Fiom, dal 1995.
Funzionario sindacale dall’agosto 1996 al dicembre 1999. Nel gennaio 2000 è rientrato alla Iveco. Nel 2006 è stato chiamato a ricoprire un incarico nella segreteria della Fiom – pur continuando a lavorare in fabbrica – fino al 2007, da quando è in aspettativa sindacale per seguire a tempo pieno la categoria dei metalmeccanici.
Dal marzo 2012 è segretario generale della Fiom Cgil di Brescia, categoria che ha diretto per due mandati. Bertoli, a fine febbraio 2020, è stato nominato segretario generale della Cgil Brescia.
Abbiamo rivolto al sindacalista alcune domande di interesse generale e locale per capire la situazione attuale rispetto al mondo del lavoro dipendente.
Lo Statuto dei lavoratori ha appena compiuto 50 anni, ma il mercato del lavoro non se la passa troppo bene. Le garanzie sono state progressivamente allentate, l’economia minaccia una recessione senza precedenti. Il Covid rischia di proiettare un’ombra tetra sui diritti del lavoro. Lei cosa ne pensa?
Effettivamente ci sono state delle modifiche rilevanti in relazione ai diritti in termini generali e in particolare per quanto riguarda il mercato del lavoro.
Sul 2021, con la cessazione del blocco dei licenziamenti, si potrebbe verificare un possibile arretramento delle condizioni dei lavoratori, ma credo che la situazione creata dalla pandemia abbia evidenziato gli arretramenti da recuperare e questo ci impegna come Sindacato nel rapporto con il Governo e nel rapporto con le Associazioni imprenditoriali.
Nell’abisso della pandemia due professioni diametralmente opposte hanno retto la società: da una parte il personale sanitario-medici, infermieri, addetti alle pulizie -, dall’altra gli operatori della logistica, i rider e i driver che hanno permesso gli approvvigionamenti essenziali e la consegna a casa a chi non poteva uscire.
Cosa ne pensa?
Questo dimostra che tutte le attività lavorative “tengono in piedi” complessivamente la nostra società – così come essa si è organizzata – e come questi lavoratori siano da riconoscere anche quando si devono gestire le loro condizioni economiche e normative.
L’emergenza Covid-19 ha cambiato la vita di tutti i giorni.
Le aziende hanno dovuto privilegiare lo smart working, il telelavoro e il lavoro da remoto. Eravamo e siamo pronti per lavorare da casa?
Una parte, relativa, di aziende aveva già aperto al lavoro da remoto.
Adesso è diventata una condizione molto più attenzionata e praticata. Credo che ci vorrà un maggior coinvolgimento dei lavoratori e del Sindacato per dare una giusta dimensione a questo tipo di organizzazione perché – ad oggi – non vedo che le condizioni proposte siano delle migliori.
C’è il rischio secondo Lei di una nuova frattura fra i dipendenti front office, costretti a lavorare a rischio e chi può permettersi il telelavoro da casa senza rischi?
Il rischio c’è, così come si potrebbe configurare un rischio del mantenimento delle attività in remoto dentro il perimetro aziendale una volta che esse sono state stabilmente portate “fuori”.
Come vede la situazione del tessuto lavorativo rovatese? Quali criticità?
La situazione del singolo territorio è da inquadrarsi nel contesto più generale e a me sembra che complessivamente ci sia una tenuta, con tutte le attenzioni del caso, visto l’instabilità generale.
Mauro Ferrari