È stagione di giuggiole (le zöbie) frutto della pianta del giuggiolo, di origini asiatiche, conosciuto e apprezzato fin dai tempi degli antichi Egizi e dai Fenici, poi diffuso nei Paesi Mediterranei compresa l’Italia.
Presso gli antichi Romani il giuggiolo era “simbolo del silenzio”, usato per adornare templi dedicati alla dea Prudenza, mentre in campagna era ritenuto un albero portafortuna. Nel Medioevo furono i monaci a tramandarne conoscenza e tradizioni, con decotti e preparazioni erboristiche. In epoca rinascimentale i Gonzaga, che possedevano una ricca residenza vicino al Lago di Garda, esaltarono l’uso delle giuggiole producendo un delizioso liquore chiamato brodo di giuggiole, perfetto per inzupparvi torte e biscotti secchi, oppure bevuto come digestivo a fine pasto.
La giuggiola contiene vitamine e minerali dalle proprietà antinfiammatorie, antiossidanti e utili ad alleviare ansia e depressione. È coltivata tuttora in Lombardia e in Veneto, soprattutto ad Arquà Petrarca, che l’ha eletto frutto simbolo del proprio territorio, sia da consumare fresca, sotto spirito, in confetture e per la preparazione elaborata appunto del famoso liquore “brodo di giuggiole”. La fama di questo liquore diede origine all’espressione metaforica molto incisiva, ancora spesso utilizzata nel linguaggio comune, “andare in brodo di giuggiole”: trovarsi in una situazione, uno stato d’animo estremamente piacevole, sentirsi quasi in estasi. Spesso però è rivolto ironicamente nei confronti di qualcuno che ha un’espressione estasiata un po’ esagerata rispetto ad una situazione o ad una persona che le fa battere il cuore
Ornella Olfi