Gentile Direttore, queste righe non vogliono certo avere una parvenza di memorie, ma uno stimolo per guardarmi dentro e per fare il punto sulla voce della gente che non arriva a quanti dovrebbero rappresentarci politicamente. Da tantissimi anni ormai mi occupo di mettere in evidenza le ingiustizie subite da tanti nostri concittadini, unite alle incongruenze che vengono spesso denunciate dalle persone che incontriamo ogni giorno nei loro rapporti col potere locale. Accade che, quando mi vengono segnalati soprusi, diritti lesi o abusi di potere, scatta subito dentro di me la molla del difensore civico, che mi porta ad immedesimarmi nel torto subito e a rendere pubblico il fatto attraverso le mie ormai note lettere alla stampa locale. Molti mi fermano per la strada invitandomi a proseguire, ringraziandomi per aver dato voce alla maggioranza silenziosa e a quanti preferiscono patire piuttosto che reagire di fronte alla “casta locale”. Dall’altra parte, invece, i soliti noti che da decenni si atteggiano a rivoluzionari e a difensori degli oppressi, però solo a parole, e che si esprimono al solito bar, minimizzando la difesa di chi subisce i torti, giudicando inutile e scarsamente producente quello che viene da me denunciato, accompagnando il tutto con tanto sussiego e prosopopea. “Se lo facessi io” – proclamano sorseggiando lo specialino – saprei ben buttar per aria tutto, togliendo ai ricchi per alleviare le pene dei poveri, invece che scribacchiare su questi giornaletti”. Peccato che siano cinquant’anni che lo dichiarano, sempre al bar, un tempo con “l’Unità in bella vista in tasca”, in seguito nascondendosi dietro, prima al partito, poi al sindacato ed infine ai pensionati organizzati. Io invece seguo il mio istinto un po’ ribelle e continuo a denunciare la scarsa attenzione del piccolo potere locale per il cittadino e per l’ambiente dove vive e viviamo tutti. Non è che con l’età avanzante mi sia del resto arreso, anzi, la mia cocciuta determinazione e a volte la rabbia di chi non è ascoltato fanno il resto e mi spingono ad osare, anche di persona, l’inosabile. La mia vita da sindacalista mi ha reso ipersensibile ai problemi dei lavoratori, ai loro sacrosanti diritti e alla difficoltà a rivendicarli. Dopo una vita impegnata in tutto questo, in contemporanea con i circa trent’anni passati nella cucina di un ospedale, sono passato a vivere una vita da persona quasi normale, facendo anche ciò che la gente normale fa ogni giorno, ad esempio curare l’orto, leggere un libro, stare in poltrona la sera a guardare la televisione. Sempre però con l’orecchio teso agli umori di chi incontro o frequento ogni giorno.
In questo periodo, come tutti, ho vissuto giornate inusuali e sorprendenti nella loro stranezza. Prima, segregato in casa con la paura del contagio, data l’età e il bagaglio di acciacchi, adesso con la voglia di riscatto e di riprendere il tempo perduto, riannodando il filo interrotto. Continuerò come ho sempre fatto a denunciare non solo l’arroganza e l’indifferenza di chi ci amministra, ma anche a valorizzare atti e opere di solidarietà di persone che fanno del bene alla società in cui viviamo.
Come pure ho sempre scritto, e scriverò, per ricordare e tracciare la figura di amici, coscritti o compagni di lavoro, a cui ho voluto particolarmente bene, che si sono distinti nella comunità e che mi hanno accompagnato in settantasei anni di vita. Naturalmente in barba ai “rivo-luzionari da bar”, imperturbabile del loro sarcastico giudizio.
Luigi Andoni