La didattica a distanza (DaD) è tra le innovazioni più discusse dall’inizio della pandemia ed è diventata, di conseguenza, uno dei motivi di preoccupazione più ricorrenti di alunni e insegnanti.
Eccetto per me.
Se tutti auspicano un imminente ritorno a scuola per settembre, io mi trovo a sperare che questa nuova didattica possa prolungarsi ancora qualche tempo.
Devo ammettere che, inizialmente, anche io ero parecchio scettica nei confronti della DaD, ma, non appena tutti i professori si sono attrezzati e hanno utilizzato adeguati mezzi che consentissero un normale svolgimento delle lezioni, ho iniziato a vederne i lati positivi. Il metodo d’insegnamento non ha subito eccessive variazioni: i professori che non spiegavano in classe hanno continuato a non farlo, i più competenti, invece, si sono impegnati a trovare efficaci soluzioni per far sì che le loro spiegazioni giungessero chiare a noi studenti, nonostante fossimo separati dallo schermo di un computer. Queste lezioni, seppur caratterizzate da una minore immediatezza e interazione tra alunno e insegnante, sono state, almeno per me, potenti e coinvolgenti incentivi a sviluppare un maggiore interesse per gli argomenti trattati, grazie anche ai diversi lavori e progetti assegnati per compito, diventati i nuovi metodi per valutare la nostra preparazione.
Non nascondo che, molto spesso, la concentrazione di uno studente viene meno, complici i messaggi scambiati con i compagni o uno spuntino di metà mattina a telecamera spenta, ma questo, seppur con mezzi diversi, succede anche in classe; non si può certo dire che non stiamo cercando di vivere con normalità una situazione così straordinaria.
Le più frequenti, e a mio parere insensate, lamentele, soprattutto da parte degli studenti, riguardano l’eccessivo tempo trascorso davanti ad uno schermo: per anni siamo stati accusati, a ragione, di appartenere a una generazione iperconnessa e, ora che la tecnologia viene finalmente sfruttata con intelligenza, offrendo concreti vantaggi, non vogliamo più avere a che fare con i computer. Si tratta di un effettivo malessere causato dalla fredda luce dei pixel o semplice svogliatezza?
Molti accusano, inoltre, di sentire la mancanza del contatto umano. Ad essere sincera, dal mio punto di vista, ciò non ha mai costituito un problema. Ogni mattina, durante il consueto orario scolastico, potevo rivedere i miei compagni e i professori, evitando, con mia grande gioia, gli irritanti spostamenti tra classi, senza essere costretta a sgomitare nei corridoi troppo stretti per riuscire a farmi strada in una disordinata fiumana di gente. Grazie ai numerosi mezzi offerti dal progresso tecnologico, che già da tempo hanno rivoluzionato il modo di comunicare e non rappresentano certo una novità per i cosiddetti “nativi digitali”, è stato possibile mantenermi costantemente in contatto con le persone a me più care, consolidando le amicizie che, anche in momenti di difficoltà come questi, nonostante la distanza e l’impossibilità di vedersi di persona, sono state essenziali. Certo, si è trattato di un periodo stressante, dovuto soprattutto all’imminente chiusura dell’anno scolastico, ma questa situazione mi ha aiutata a comprendere il valore dell’organizzazione, a sviluppare una maggiore consapevolezza di me e delle mie capacità, a maturare.
Alice Iadema