Credo sia abbastanza probabile che non sia diffusa, non solo fra i lettori, ma in generale, la cognizione che il computo del tempo, così come noi oggi lo facciamo, sia, per gli Italiani, una metodologia tutto sommato recente. Negli stati della penisola italiana fino alla fine del settecento e inizio ottocento, era in vigore la cosiddetta ora italica o all’italiana, che si contrapponeva all’ora francese o oltremontana. La procedura francese è sostanzialmente quella che attualmente viene usata in campo internazionale; questa prevede due momenti fissi della giornata: il mezzogiorno e la mezzanotte. Secondo questa metodologia l’ora 24 coincide con la mezzanotte, quando finisce il giorno e inizia subito dopo un nuovo giorno.
L’ora all’italiana era basata sul movimento (apparente) del sole: l’ora 24 coincideva con il tramonto del sole (annunciato con le campane dell’Ave Maria, che avevano anche la funzione, molto importante, di avvertire la popolazione che le porte della città venivano chiuse) e il giorno nuovo iniziava subito dopo: la prima ora del giorno nuovo, era la prima ora dopo il tramonto. Il tramonto invariabilmente indicato con le ore 24, comportava la comodità di conoscere in ogni momento della giornata quante ore di luce restavano a disposizione, semplicemente sottraendo da 24 l’ora in corso. Esempio: il lavoratore nei campi o l’artigiano, sentendo suonare le 15, sapeva con certezza di avere ancora a disposizione 9 ore di luce prima del tramonto (24-15 = 9). Va da sé che questa procedura portava a non avere un’ora fissa per il Mezzogiorno e per la Mezzanotte, essendo detti istanti continuamente mobili nel corso delle stagioni. Vedi la tabella.
Gli orologi delle torri e dei campanili avevano il quadrante suddiviso in 24 ore (numerate da I a XXIV) ed erano periodicamente regolati in modo che la ventiquattresima ora corrispondesse sempre con il tramonto del sole. Ciò provocava un certo disorientamento per i viaggiatori provenienti da paesi europei in cui vigeva già l’ora francese. È il caso di Goethe, che visita l’Italia dal 3 settembre 1786 e al 18 giugno 1788; decenni dopo pubbliaca l’opera “Viaggio in Italia”, capolavoro della letteratura odeporica. In questa constata stupito: “sono state vissute ventiquattro ore, comincia un nuovo conto, suonano le campane, si recita il rosario, e la fantesca, entrando nella stanza con la lampada accesa, augura: «Felicissima notte!»” . Accanto allo stupore si intravede anche una sorta di ammirazione: “Questo momento [la ventiquattresima ora] cambia ad ogni stagione, e l’uomo, che qui vive di vera vita, non può sbagliarsi, perché in ogni istante di godimento della vita non si rifà all’ora segnata, ma all’ora del giorno. Se si costringessero costoro al sistema orario tedesco, gli si confonderebbero le idee, perché il sistema che usano è strettamente contesto alla natura in cui vivono”. Considerazione profetica: l’introduzione dell’ora francese nei vari stati italiani, avvenuta nella seconda metà del settecento e i primi dell’ottocento, provocherà non pochi disagi, specialmente negli strati sociali meno acculturati. Il Casanova nelle sue Mémoires riferisce che, a Parma, una sua cugina imprecava contro l’uso da poco introdotto dell’ora francese:
“Tra l’altro, siamo in uno stato di confusione incredibile: tanto per dire, da tre mesi non c’è più nessuno a Parma che sappia l’ora. Da che mondo è mondo, il sole è sempre tramontato alle ventitré e mezzo e alle ventiquattro si è sempre detto l’Angelus, e tutte le persone per bene sapevano che a quell’ora si accendeva il lume. Adesso non si capisce più nulla. Il sole è ammattito: tramonta ogni giorno a un’ora diversa, e i nostri contadini non sanno più a che ora devono venire al mercato. Chiamano questo un regolamento, ma sa perché? Perché adesso tutti sanno che si pranza alle dodici. Bel regolamento! Ai tempi dei Farnese si mangiava quando si aveva fame, ed era molto meglio”.
L’introduzione del nuovo metodo comportò un adeguamento dei quadranti degli orologi: i quadranti suddivisi in 24 ore furono sostituti da quadranti con la scansione a 12 ore e venne modificato il meccanismo dell’orologio, inserendo un rapporto che raddoppiava la velocità della lancetta, in modo da farle fare un doppio giro di 12 ore ciascuno nello stesso tempo che impiegava a fare il giro delle 24 ore precedenti. In altri casi si optò per una doppia numerazione sul quadrante: l’italica e la francese.
Un riscontro letterario
Nel capitolo XVII de I Promessi Sposi, Renzo, fuggito da Milano perché ricercato, si ferma in una osteria di Gorgonzola per rifocillarsi. Intimorito e infastidito dalle chiacchiere di alcuni avventori esce dall’osteria e si dirige verso l’Adda con l’intenzione di attraversarlo per rifugiarsi nel bergamasco, allora dominio veneziano; il momento della giornata viene reso in questo modo dal Manzoni: “quan-tunque, nel momento che usciva di Gorgonzola, scoccassero le ventiquattro, e le tenebre che venivano innanzi …” (edizione del 1840); nell’edizione precedente (1825-1827), lo stesso passo è reso così: “quantunque, al momento ch’egli usciva di Gorgonzola, battessero i tocchi dell’avemaria, e le tenebre che venivano innanzi … ”.
Considerato il periodo del-l’anno, metà novembre, le 24 dell’ora italica corrispondono indicativamente alle ore diciotto dell’ora francese. Poco più avanti nella narrazione, Renzo passa la notte in un capanno in attesa del mattino per attraversare l’Adda e mettersi in salvo (l’Adda nel periodo in questione era il confine fra il ducato di Milano e la Repubblica Veneta); non riuscendo a dormire “misurava con impazienza il lento scorrere dell’ore. Dico misurava, perché ogni mezz’ora, sentiva in quel vasto silenzio, rimbombare i tocchi d’un orologio”. Quando l’orologio batte undici tocchi si rimette in cammino: “Quando finalmente quel martello ebbe battuto undici tocchi, ch’era l’ora designata da Renzo per levarsi…”. L’ora attesa da Renzo coincide grosso modo con le cinque mattutine dell’ora francese.
Una curiosità vicina a noi
A Martinengo, Bergamo, sulla torre civica è tuttora in funzione (restaurato nel 2003) l’orologio, con una sola lancetta, che segna l’ora italica; da un lato il quadrante con le ore in numeri romani, dall’altro il quadrante con le ore in numeri arabi. Passata l’attuale buriana, vale un viaggio, magari la prima domenica del mese quando si tiene anche il mercatino dell’antiquariato.
Luciano Amico