È finito anche quest’anno scolastico 2018/19, con grande sollievo da parte di alunni poco inclini allo studio, se sono riusciti lo stesso ad essere promossi, e dei loro genitori; con un po’ di nervosismo per chi ha debiti da recuperare per settembre; peggio per chi dovrà ripetere l’anno; con grande soddisfazione per chi si è guadagnato la promozione dopo tanto impegno e, meglio ancora, per chi ha ottenuto ottimi voti. Più lunga di qualche giorno, più difficile e ansiosa la fine della scuola per chi deve sostenere gli esami, da quelli in quinta elementare (ora chiamata primaria di primo grado) fino alla maturità. Quando ero ragazza io, gli anni di scuola dell’obbligo si fermavano alla scuola media, poi per chi non voleva o non poteva proseguire, si apriva velocemente il mondo del lavoro, con la scelta di posti disponibili in molti settori. Ora giustamente gli anni obbligatori si sono allungati, perché la cultura è la conoscenza che rende libera ogni persona, ma per chi non ama studiare questi anni sono vissuti come una forzatura. Purtroppo poi anche la ricerca di un lavoro è spesso difficile e snervante rispetto al passato. Molto diretti e senza troppa delicatezza certi proverbi dialettali usati anni fa in tema di scuola e promozione: “passà per èl büs de la ciàf” (promozione con appena appena la sufficienza), “èser sbaticc föra” (magari dopo parecchie bocciature e promossi per sfiancamento degli insegnanti), o ancora simpaticissimo ”ìga fat le scöle alte ‘ntat che i sbianchézàa chèle base” (aver frequentato le scuole ai piani alti, non certo ad alti livelli, intanto che imbiancavano quelle ai piani inferiori), per far capire che si erano frequentati solo pochi anni di scuola e malvolentieri. Più serio e motivo di orgoglio invece “ìga fat le scöle alte” riferito a chi aveva frequentato le scuole superiori. In generale i genitori non si lasciavano andare a troppi complimenti, neppure se la promozione con buoni voti dei figli ne avrebbe meritati.
La scuola era considerata un dovere da assolvere, senza tante smancerie e senza pretese di regali a fine anno “ta g’hét fat èl tò doér”. Molte famiglie non potevano permettersi spese extra, ma pure per altre più abbienti era proprio il modo di insegnare ai figli i loro doveri senza nulla pretendere in cambio, fin da piccoli. Molti ragazzi venivano mandati a lavorare durante le vacanze, proprio per far capire loro quanto è duro il lavoro, non solo la scuola!
Si è passati da un estremo rigore a ricompense esagerate per cercare di spronare o premiare i figli studiosi.
Come sempre ci vorrebbe un po’ di equilibrio: riconoscere i meriti ai figli è importante per alzare la loro autostima e invogliarli a impegnarsi sempre di più per raggiungere obiettivi nella vita; per contro, regali eccessivi passano il messaggio che assolvendo anche ai doveri più basilari si ha diritto ad un premio. Sperando che l’anno scolastico sia terminato bene per la maggioranza… buone vacanze a tutti gli studenti!
Ornella Olfi