Ho avuto l’occasione di intervistare una persona che ha assistito ai concitati momenti della Liberazione di Rovato nell’aprile 1945. Per quanto non abbia detto nulla di sconveniente, preferisce rimanere anonimo. Mi è concesso dire che all’epoca dei fatti aveva 14 anni ed abitava in un cascinale vicino a dove sono avvenuti gli ultimi scontri. Mi ha stupito la sua memoria e la coscienza di sottolinearmi quanto aveva visto di persona e, invece, quanto ha saputo solo per passaparola.

Il 25 aprile ricorda che quasi tutti i militi fascisti e tedeschi si erano dati alla fuga, e come primo effetto di questa partenza la popolazione si era avventata sui carri ferroviari, saccheggiandoli. Ha visto bene la ressa di chi svuotava i vagoni fermi lungo i binari della stazione di Rovato-Borgo (quella per la linea che saliva in Valcamonica), ricolmi di biancheria e bottiglie di vari liquori. Mi dice di aver visto uno dei tedeschi di guardia morto a terra e più avanti, il corpo del povero Carlo Pedrali che stava lavorando i campi, ucciso per errore nella contesa tra saccheggiatori e tedeschi. Sempre lungo la ferrovia c’erano dei baraccamenti della Todt. Furono presi d’assalto e svuotati, prima che i partigiani riuscissero ad impedirlo. Si portarono via assi, travi, cemento, pignatte. Lo stesso destino toccò in giornata ai magazzini Todt (dov’è attualmente il supermercato Butegù), ma di questo dice di aver visto solo il giorno dopo gli effetti del saccheggio, che fu tale da far crollare una delle stesse baracche spogliate. Il racconto coincide con quanto ha scritto mons. Zenucchini nel suo diario.

Il giorno dopo ricorda che nei pressi del Butighèt erano appostati i partigiani a fare il blocco stradale. «Chiamarli partigiani, ci vuole coraggio. Solo alcuni erano armati di schioppo, altri avevano il forcone e poco più avanti c’era una fossa dov’era piazzata una mitragliatrice Breda» mi dice. Effettivamente si sa di molti collaboratori dei partigiani che si erano aggregati all’ultimo momento. Le formazioni partigiane vere e proprie, sarebbero arrivate solo quando gli eventi sarebbero precipitati.

Ad un certo punto, verso sera, giunse una vedetta in bicicletta urlando «I rià! I rià!» (Arrivano!). C’era una colonna in avvicinamento da Ospitaletto. Alcune unità tedesche che si erano aggregate ai fascisti della cosiddetta colonna Farinacci. Per lungo tempo si è favoleggiato che questa fosse capeggiata personalmente dal Ras di Cremona, ma oggi sappiamo che in quegli stessi istanti Farinacci veniva catturato a Vimercate e giustiziato. Ma tant’è, in quei giorni a Rovato girava anche voce che Mussolini fosse nascosto in villa Lechi a Erbusco… nulla è più comune delle fantasticherie quando si perdono tutti i punti di riferimento.

Comunque, gli antifascisti non avendo accortezza di quanti fossero, né di com’erano equipaggiati, spararono alcune raffiche contro le avanguardie della colonna. Questa rispose violentemente, dispiegando vari elementi e rispondendo al fuoco con mitragliere pesanti e colpi di mortaio. Ricorda che i nazifascisti avanzarono fino al mulino di via Poffe ed al Butighèt. I partigiani in parte si squagliarono e altri si nascosero nei cascinali da cui continuarono a sparare. Al mulino i tedeschi portarono via alcuni uomini e ragazzi come ostaggi per farsi dire i nomi di chi stava sparando, ma nel corso della sparatoria i tedeschi si accovacciarono per rispondere al fuoco e i quattro malcapitati colsero l’occasione di sgusciare via e mettersi in salvo.

Come sappiamo la stessa fortuna non l’ebbero i tre innocenti prelevati dalla cantina di cascina Bortolotto dalle camice nere e barbaramente giustiziati per rappresaglia, colpiti a più riprese col pugnale ed il calcio dei fucili. Mentre lo scontro si protraeva durante la notte e la colonna attraversava il paese, chi mi racconta dice di aver passato del tempo sul solaio della cascina a spiare dalle finestrelle, quando una mitragliata colpiva anche le loro imposte. Il resto è storia nota: accorsero le formazioni delle Fiamme Verdi da Chiari, e poi da Pontoglio mentre la colonna stava già attraversando Coccaglio. La scia di sangue proseguì in quel paese. Il 28 tutto tacque ed il giorno seguente, con un carro armato americano entrato da via Franciacorta e fermatosi in piazza Garibaldi, a pochi passi dalla chiesa e dall’acquedotto, si chiudeva definitivamente l’attesa dell’arrivo degli Alleati.

Alberto Fossadri